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WineNews
N. 3.891 - ore 17:00 - Giovedì 8 Febbraio 2024 - Tiratura: 31.211 enonauti,
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La News
Australia, crolla l’export nel 2023
Sempre più persone nel mondo che rinunciano all’alcol o che moderano i propri consumi, ma anche un aumento generalizzato del costo della vita: ecco i principali motivi alla base del crollo dell’export del vino australiano, che nel 2023 ha visto un calo del 2% in valore (pari a 1,90 miliardi di dollari) e del 3% in volume (equivalente a 607 milioni di litri), secondo l’ultimo rapporto di Wine Australia. Situazione complicata, dal 2020, dai dazi stratosferici della Cina. Intanto il settore vitivinicolo deve fare i conti con un passaggio generazionale, con molti figli di produttori che non hanno intenzione di portare avanti l’attività di famiglia.
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Primo Piano
La Germania è il primo importatore di vino in volume
Il cambiamento del mercato globale e dei consumi, legati al vino, impattano anche sulla geografia degli scambi commerciali e sui loro numeri che, ad eccezione di pochi esempi (solo la Russia è in crescita per le importazioni, aumentando tanto in valore che in volumi), presentano un segno negativo. Il report (a febbraio) dell’Osservatorio Spagnolo del Mercato del Vino (Oemv), riferito fino a settembre 2023 su base annua, decreta il cambio di leadership tra gli importatori mondiali, in termini di volume, con la Germania che resta stabile a 1,31 miliardi di litri (-0,4% pari a 5 milioni di litri in meno), superando gli Stati Uniti (-8%) che hanno “abbandonato” 246 milioni di litri. Tra i primi tredici importatori, sempre guardando ai volumi, crolla la Cina (-26,9%, pari a 97 milioni di litri) mentre il Regno Unito è in terza posizione (-8,9%) con 1,2 miliardi di litri importati ma con 120 milioni in meno nell’ultimo anno. La Russia segna i numeri migliori, importando 56 milioni di litri (+16,8%) nell’anno di riferimento del report. Nessun cambio al vertice, invece, se guardiamo i principali Paesi importatori in termini di valore. Gli Stati Uniti restano in testa con 6,5 miliardi, ma hanno speso 246 milioni di euro in meno negli ultimi 12 mesi (-3,6%), calo che si potrebbe spiegare con un mercato che è frenato, a causa di un “irrigidimento” dei consumatori, soprattutto i più giovani, e con stock abbondanti di prodotto da smaltire.
Le prime quattro posizioni, sempre restando alle importazioni di vino in valore, sono tutte in “rosso”: dietro gli Usa troviamo Regno Unito (-72 milioni di euro, -1,5%, per un totale di 4,6 miliardi di euro), Germania (-126 milioni di euro, -4,5%, per 2,7 miliardi di euro), Canada (-259 milioni di euro, -11,9%, per un totale 1,9 miliardi di euro). La Russia è inavvicinabile come performance, incrementando di 221 milioni di euro (+24%, per un totale di 1,1 miliardi di euro), ma ottimo risultato anche per Singapore (+170 milioni di euro, +21,9%, per 949 milioni di euro in totale), segno positivo per Giappone (+56 milioni di euro, +3,4%, per 1,7 miliardi di euro), Paesi Bassi (+19 milioni di euro, +1,3% per 1,5 miliardi di euro) e Svizzera (+7 milioni di euro, +0,5%, per 1,2 miliardi di euro). Lo stesso Oemv riporta che il commercio mondiale di vino è sceso del 2,1% in termini di valore su base annua fino a settembre 2023. 
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Il paradosso dei vini italiani low alcool in Usa
“I prodotti low alcol del Belpaese trovano spazio negli Usa, dove, per i consumatori americani, rappresentano il 28% degli acquisti totali di prodotti vitivinicoli italiani, che hanno raggiunto 651 milioni di dollari di fatturato nella grande distribuzione e nei retail nel 2023. Una produzione made in Italy per un affare made in Usa, però, sottolinea l’Unione Italiana Vini (Uiv), con le cantine italiane perlopiù relegate alla produzione e all’imbottigliamento. L’Uiv sottolinea l’“impossibilità per l’impresa Italia del vino di accedere a un business, quello dei dealcolati, bloccato dalle leggi vigenti nel Belpaese, ma non in Europa”. Il presidente dell’associazione, Paolo Castelletti, ha lanciato un appello al Governo per “trattare con la massima urgenza questo tema non più derogabile, definendo con chiarezza e assieme al comparto un perimetro chiaro di azione”.
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Focus
I vigneti dove il vino si intreccia alla storia italiana
Da Vigna Gustava, appartenuta a Camillo Benso Conte di Cavour, primo Premier del Regno d’Italia, proprietario del Castello di Grinzane Cavour dove produceva i primi Barolo, e di cui è ancora fiore all’occhiello (4 ettari a Nebbiolo destinato ai collezionisti di “Barolo en primeur”, la più importante asta benefica italiana di vino); a Fontanafredda, la Tenuta fondata dal primo Re d’Italia Vittorio Emanuele II di Savoia, i cui vigneti furono teatro dell’amore con “la bela Rosin” (e oggi sono di proprietà della famiglia Farinetti), sempre nelle Langhe; dalla Vigna dell’Impero, piantata nel Valdarno nel 1935 dal Principe Amedeo Duca d’Aosta per festeggiare la nascita dell’Impero Coloniale Italiano (e dal cui clone di Sangiovese nasce il Vigna dell’Impero 1935 di Tenuta Sette Ponti); dal Castello di Brolio in Chianti Classico, dove il “Barone di Ferro” Bettino Ricasoli, secondo Presidente del Consiglio, inventò la formula del Chianti Classico; al Garibaldi viticoltore a Caprera, nei vigneti piantati dall’Eroe dei Due Mondi sull’isola che ne fu il “buen retiro” dopo la Spedizione dei Mille. Dal Piemonte alla Sicilia, passando per la Toscana, WineNews racconta i vigneti dove il vino si intreccia alla storia italiana, grazie a figure-simbolo per le quali, nella nascita del Paese, anche l’agricoltura aveva un ruolo fondamentale. 
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Cronaca
Fivi: vignaioli custodi del territorio 
Gli agricoltori hanno un ruolo sociale che persegue il bene comune: lo spopolamento delle aree interne, l’abbandono delle attività agricole e l’aumento del rischio di dissesto idrogeologico è un problema che tocca tutti, anche chi vive in città. Lo sostiene la Fivi (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), che lancia la campagna “Vignaioli custodi del territorio”, con una raccolta firme, sia attraverso banchetti nelle cantine e nei mercati, sia su change.org, per sostenere e sollecitare il disegno di legge, già al vaglio del Parlamento.
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Wine & Food
É italiano il “naso elettronico” che svela l’origine e la freschezza dei vini
Un vero e proprio “naso elettronico”, inventato in Italia, che potrà essere utilizzato per riconoscere la freschezza di un vino e la sua origine: lo ha creato la scienziata Sonia Freddi, nei laboratori del Dipartimento di Fisica dell’Università Cattolica di Brescia. Lo strumento si basa sul fatto che tutti i cibi e le bevande emettono particolari molecole di gas, che possono indicare se un prodotto è fresco o deteriorato: il “naso” rileva queste molecole biomarcatori, grazie all’analisi delle componenti volatili, e può essere potenzialmente applicato in svariati campi, come il controllo della qualità, della freschezza e dell’origine dei prodotti. Una scoperta che apre la strada ad un ampio ventaglio di test per i controlli sulla qualità. L’utilizzo di un “naso elettronico”, grazie alla sensibilità elevata dei sensori, è una tecnica che sta prendendo sempre più piede. 
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Castello del Terriccio
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Consorzio Vini di Romagna
Tenuta Sette Ponti
Bosca
WineNews.tv
“Il brand sarà sempre più importante, anche nel vino. Grande metamorfosi nei consumi”
Le riflessioni di Alberto Mattiacci, esperto di comunicazione e impresa e docente dell’Università La Sapienza di Roma, nella presentazione del progetto “No Binge - Comunicare il consumo responsabile” di Federvini, con Università La Sapienza e la Luigi Vanvitelli. “L’attenzione alla salute e al benessere dicono di un cambiamento importante. Bere bene ma meglio, nel vino, non è una moda, ma, un fatto strutturale. Il vino è una nicchia nell’ampio panorama dei prodotti alcolici. Nel senso che è speciale, e ha un ruolo preciso nella convivialità”.
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