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N. 3.291 - ore 17:00 - Martedì 16 Novembre 2021 - Tiratura: 31.116 enonauti, opinion leader e professionisti del vino |
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Con il Barolo Bricco Boschis 2016 di Cavallotto, storica cantina di Castiglione Falletto, nel cuore del territorio del Barolo, al n. 8, l’Italia del vino piazza la sua prima etichetta nelle prime 10 posizioni della “Top 100” di “Wine Spectator”, la classifica enoica più attesa dell’anno. Che oggi ha svelato anche la posizione n. 7, del St.-Julien 2018 Château Léoville Poyferré, davanti, dunque, allo Châteauneuf du Pape 2018 di Château de Nalys, al n. 10, al Cabernet Sauvignon St. Helena Dr. Crane Vineyard 2018 di Salvestrin, al n. 9, svelati ieri. Domani le posizioni 6 e 5, per arrivare al podio il 18 novembre, e al vino dell’anno il 19. |
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“Max Weber sosteneva che la proprietà obbliga, e la storia di Arnaldo Caprai racconta di un uomo che si è sentito obbligato a restituire, in primis con il museo d’impresa dei tessuti, patrimonio europeo. Ma il sentimento di obbligo in tempi moderni cambia: non è più la proprietà che obbliga, è l’innovazione che obbliga. E qui entra in campo il politologo americano Robert Putnam con la sua teoria sulla virtù civica, che il capitale sociale reca in sé e che inscritta all’interno di relazioni sociali reciproche trova il suo più compiuto sviluppo, identificandosi con quei requisiti culturali, insiti nella struttura delle relazioni, nei valori e nelle norme, che favoriscono un ordine sociale contraddistinto dalla generale cooperazione per il bene pubblico. L’economia non predice l’impegno civico ma è l’impegno civico a predire l’economia e anche meglio dell’economia stessa. E in questa frase si inserisce anche l’importanza dello scheletro contadino che produce mantenimento del territorio, che a sua volta produce bellezza e quindi turismo e cultura, e che è rappresentato da Caprai”. Così il sociologo Aldo Bonomi, fondatore di Aaster, nei 50 anni della cantina Arnaldo Caprai, celebrati a Montefalco con un dialogo sul futuro con importanti personalità. E con una “special edition” di Montefalco Sagrantino Cinquant’Anni Docg 2016 con un’etichetta da collezione d’oro zecchino dell’artista Paolo Canevari, ispirata alla tavola dello “Sposalizio mistico di Santa Caterina d’Alessandria” di Benozzo Gozzoli e che “rimanda alla storia dell’arte ed alle radici culturali profonde di un territorio che grazie a queste radici ha saputo valorizzarsi ma anche rinnovarsi e inventare per sé un futuro”, secondo la storica dell’arte e curatrice Cristiana Perrella. Il legame del Sagrantino, riscoperto e portato alla ribalta internazionale con il suo territorio da Marco Caprai, con Benozzo Gozzoli, che lo raffigura nei rinascimentali affreschi della Chiesa di San Francesco a Montefalco, è “quello di essere il simbolo di una terra “fertile” nella creazione artistica e di prodotti materiali, l’una e gli altri fondamentali per la nostra vita, e nella quale dobbiamo continuare a fare quello che la tradizione indica, conservando e recuperando il nostro patrimonio artistico e culturale, e non deturpandolo”, ha detto Vittorio Sgarbi, tra i più grandi critici d’arte italiani.
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Aprire un “avamposto” dedicato ad alcuni dei più grandi vini italiani nel cuore di Bordeaux, capitale del vino francese e mondiale: è il progetto, innovativo, del gruppo Frescobaldi, una delle realtà più importanti e storiche del vino italiano. Che nel 2022 avrà un “indirizzo a Bordeaux” per alcune delle sue tenute più prestigiose, Masseto ed Ornellaia, da Bolgheri, la Tenuta Luce e Castelgiocondo, da Montalcino (tutte già distribuite su “la Place de Bordeaux”) che, nella capitale della Gironda, prime cantine italiane a farlo, apriranno un ufficio di rappresentanza “per rafforzare le loro reti vendita in tutto il mondo”. “Fare vini dall’alto profilo qualitativo non basta - spiega Giovanni Geddes da Filicaja, ad del gruppo Frescobaldi e tra i manager più esperti del mondo nel campo dei fine wine - è necessario saper comunicare questa qualità e scegliere la distribuzione ideale”. |
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L’Italia che brilla tra i rossi del mondo con i suo grandi classici, che emerge tra i grandi bianchi soprattutto con l’Alto Adige, ma non solo, che sgomita con lo Champagne tra le bollicine, grazie ai top brand di Franciacorta e Trentodoc, e che si ritaglia uno spazio tra i rosè, con il Sud Italia: è la fotografia che emerge dai “Vivino Community Awards”, le top 100, divise per tipologia, dei vini più e meglio recensiti dai 50 milioni di utenti, che può vantare nel mondo il più grande marketplace digitale del vino, capace di sviluppare un giro d’affari di 265 milioni di euro. E così, tra i produttori più premiati nelle varie tipologie, ci sono realtà come Antinori o Terlano con tre etichette, nomi come Frescobaldi, Cà del Bosco e Gaja con due, e tante altre realtà prestigiose, come Dal Forno, Quintarelli, Tommasi, Zenato e Zymè, sul fronte Amarone, Casanova di Neri, Il Marroneto e Soldera su quello del Brunello di Montalcino, o ancora la Tenuta di Biserno e la Tenuta San Guido, da Bolgheri e dintorni, o ancora il barolista Mascarello Giuseppe e Figlio. Tra i bianchi, da segnalare nomi come San Michele Appiano, Elena Walch, Isole e Olena, Valentini e Gravner, tra gli altri, Ferrari tra le bollicine, e San Salvatore, Pico Maccario e Donnafugata tra i rosati, per citarne alcune (elenco completo e vini premiati nell’approfondimento). |
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Al Quirinale, i piatti sono realizzati con ingredienti semplici e freschi, e si privilegiano le grandi eccellenze “made in Italy”: il prosciutto crudo arriva dal Friuli Venezia Giulia, la pasta dal Molise, le carni dal Piemonte, i formaggi e l’olio dal Lazio, per esempio, mentre molte delle verdure sono coltivate nell’orto della tenuta presidenziale di Castelporziano. E la semplicità è anche alla base delle ricette. Lo racconta Lorenza Scalisi nel suo libro, “Tutti i piatti dei Presidenti. 30 anni di ricette, storie e aneddoti nelle cucine del Palazzo del Quirinale”. |
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Sei anni fa Lorenz e Leander hanno deciso di creare una nuova attività: coltivare e commercializzare erbe aromatiche. “Facevamo due passi avanti e dieci indietro”, racconta Leander, “abbiamo lottato duramente per farcela, e così abbiamo deciso di chiamarci Kräuter Rebellen, i ribelli delle erbe”. Le stesse difficoltà le ha trovate Alexander, che con la propria famiglia vive dei formaggi prodotti da appena dodici vacche, così come Katya e Armin, che producono cioccolato artigianale, o Maria, che gestisce il ristorante della sua famiglia fin dal 1800. Vite vissute da “I ribelli del cibo. Storie di piccoli produttori dell’Alto Adige”, titolo del nuovo film-documentario firmato da Produzioni Fuorifuoco e il Centro Audiovisivi della Provincia Autonoma di Bolzano (con Rai Alto Adige), che hanno già collaborato nella fortunata produzione di “Sulle Strade dei Vini”. |
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Un progetto di ricerca avanzatissimo che parte da un elemento semplice e complesso: l’acino dell’uva, di cui c’è da scoprire ancora tanto. E che indaga ancora tanti aspetti, dalle micorrize in simbiosi con la pianta ed il territorio alla longevità dei vini, all’impatto del cambiamento climatico sulla viticoltura. Ma anche laboratorio che ha creato innovazione sul fronte dei calici e dei vinificatori, per esempio. Per un domani ancora tutto da scrivere, partendo da un punto fermo che è la forza del vino italiano: la territorialità.
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