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N. 3.067 - ore 17:00 - Giovedì 7 Gennaio 2021 - Tiratura: 31.087 enonauti, opinion leader e professionisti del vino |
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Mangiare in un ristorante stellato Michelin, nella settimana a cavallo tra la fine del funesto 2020 e il 2021, per chi, come noi, vive in Occidente, si è rivelata impresa tra l’arduo, il disperato e l’impossibile. Nel mondo, più di uno stellato su tre ha aperto i battenti (36%), in calo dal 40% della settimana precedente. Colpa della serrata decisa da quasi tutti i Governi del Nord Europa e dalle chiusure in Usa, mentre in Italia, come rileva l’analisi di WineNews, la percentuale dei ristoranti stellati aperti è del 44%. Diversa la situazione in Asia, dove, dalla Cina al Giappone, la quotidianità è tornata quella di sempre, con tutti i ristoranti aperti da mesi. |
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Ci sono quelli che consentono di acquistare vecchie annate introvabili sul mercato direttamente dalla cantina del produttore, quelli che più semplicemente offrono sconti, quelli che, insieme a bottiglie più o meno rare e peculiari, limited edition e non solo, offrono ai propri membri esperienze personalizzate, visite in azienda “taylor made”, e tanti altri servizi, per un rapporto tra produttore e appassionato sempre più diretto, attraverso il digitale, e basato sull’esperienza, più che sul prodotto stesso. Sono i tanti “wine club” delle cantine italiane, strumento nel complesso tutt’altro che nuovo, ma che ora, sull’onda della digitalizzazione accelerata dalla crisi della Pandemia, che spinge anche le imprese a reinventare parte del loro business con la ristorazione ancora sostanzialmente ferma (e non si capisce ancora per quanto, in Italia e in tante aree del mondo), ha trovato una nuova, importante spinta. Con i wine club gestiti direttamente dai produttori che si affiancano alle tante esperienze “terze” che, per esempio, già da tempo consentono ai wine lovers di ricevere a casa, con cadenze periodiche, selezioni di vini basate sui più diversi criteri. Secondo i dati della ricerca “Il wine business nell’era post Covid-19” dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor su un panel di 165 cantine che rappresentano 4 miliardi di euro di fatturato, se nel 2019 i wine club erano uno strumento di nicchia (11% del panel), nel 2021 saranno adottati dal 57% delle cantine italiane. E di esempi ce ne sono tanti, recenti e storici (raccontati nell’approfondimento): dal nuovo Repertorio 1694 della griffe siciliana Planeta, l’Umberto Cesari Wine Club, realtà di riferimento dell’Emilia Romagna del Vino, dallo storico (fondato nel 2006) Mazzei Wine Club di Mazzei, al “26 Generazioni Wine Club” di Marchesi Antinori, realtà leader del vino italiano, dall’Argentiera Wine Club di Tenuta Argentiera, una delle realtà più belle di Bolgheri, al D’Wine Club di Dievole, microcosmo enoico tra Chianti Classico, Montalcino e Bolgheri del petroliere argentino Alejando Bulgheroni, dai piemontesi Michele Chiarlo Wine Club e Poderi Luigi Einaudi Wine Club al Firriato Wine Club della siciliana Firriato, e ancora passando per quelli Tommasi Family Estate, Il Monsnel, Barone Ricasoli, Zeni, o Cantine Barbera. |
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Da sempre, il vino unisce. Persone, popoli e culture. E, in particolare, quelli d’Europa che, come sosteneva il grande critico d’arte ed intellettuale Philippe Daverio, “è in verità, è la penisola occidentale dell’Asia fondata sul vino. È un dato oggettivo, noi siamo la cultura del vino”, come disse a WineNews nel raccontare il suo libro “Quattro Conversazioni sull’Europa”. Un pensiero che, a suo modo, si concretizza intorno al Regno Unito, che dal 1 gennaio 2021 non fa più parte dell’Unione Europea, ma che rientra nell’Oiv, Organisation Internationale de la Vigne et du Vin, diventando così il Paese membro n. 48. Si tratta di un Paese fondamentale per il mercato del vino, n. 10 per consumo a livello mondiale, con 13 milioni di ettolitri nel 2019, e n. 2 in assoluto in termini di importazioni (nel 2019 13,5 milioni di ettolitri per un valore di 4 miliardi di euro). |
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Una levata di scudi generale su una proposta che pare davvero senza senso, soprattutto pensando a certe aree d’Italia, dove la bellezza e l’integrità del paesaggio, la simbiosi tra uomo e natura che, spesso, da vita anche a capolavori dell’enogastronomia, non è solo un orpello estetico, ma fa parte del “genius loci”, ed è da sempre motore di sviluppo economico e sociale, attrattore di turismo da tutto il mondo e parte fondante della forza del made in Italy che, ora più che mai, non può essere messo in discussione. Tra queste, il caso forse più clamoroso, quasi incredibile, è quello della Val d’Orcia Patrimonio Unesco, uno dei paesaggi italiani più famosi nel mondo e tra i più visitati in assoluto, culla di eccellenze del gusto, che, con una zona di 178 ettari tra i comuni di Pienza e Trequanda, rientra in una delle 67 aree che potrebbero “ospitare” i rifiuti radioattivi d’Italia. A censirle la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee - Cnapi, realizzata da Sogin (la società pubblica della gestione dei rifiuti radioattivi) per il Governo, pubblicata, nei giorni scorsi, dai Ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente, che ha sollevato una protesta generica e un “no” fermo da parte di praticamente tutti i territori indicati come potenziali scenari per la realizzazione dell’impianto di stoccaggio di tali rifiuti. |
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Il brindisi on line conquista anche i vip. Una scia in cui si inserisce anche uno dei volti più seguiti e celebri della tv italiana, Michelle Hunziker, che attraverso il suo profilo Instragram @therealhunzigram (seguito da 4,8 milioni di follower), in una storia (diventata virale, ad iniziare dalla home del “Corriere della Sera”) ha condiviso il suo brindisi per l’Epifania, firmato con il Rosso di Montalcino di Castello Banfi. Donato dall’amica Ambra Angiolini, “consigliata” dal compagno Massimiliano Allegri, ex allenatore di Juventus e Milan, tra gli altri, e grande appassionato di vino. |
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Il 2020 si è chiuso con un bilancio sostanzialmente negativo per l’agricoltura biologica, che negli ultimi 12 mesi, secondo il bilancio di FederBio, ha perso diverse occasioni per la transizione ecologica dell’agricoltura italiana, dalla nuova legge sul biologico, ferma al Senato da oltre due anni, alla mancata approvazione degli emendamenti alla Legge di Bilancio 2021 finalizzati ad investire nelle filiere del made in Italy bio. L’unica certezza del 2020 è stata l’aumento delle vendite di prodotti biologici in Gdo (+19,6%) con picchi nei discount (+23,7%) e nei piccoli supermercati di quartiere (+26,2%). Delusione anche per i contenuti del documento programmatico del Governo sul piano per la “Next Generation EU”, dove non c’è alcun riferimento alle Strategie UE “Farm to Fork” e Biodiversità 2030 e non sono previsti investimenti specifici per l’agricoltura biologica. |
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Occhio ai mercati: “la Cina è ripartita bene, il resto dell’Asia è in crescita costante, gli Usa ripartiranno, ma non di corsa nel 2021. L’Est Europa merita maggiore attenzione, specie sul breve termine. In prospettiva, il futuro ci porterà in Africa, con vini rossi e vini dolci”. A ognuno la sua strategia: “Un’azienda fine non deve lavorare sulle private label, ma sul posizionamento del prodotto, lavorando con edizioni limitate. Al contrario, una cooperativa deve lavorare sulle private label, Dobbiamo cucire in maniera sartoriale una strategia per ogni azienda”. |
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