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N. 2.572 - ore 17:00 - Martedì 15 Gennaio 2019 - Tiratura: 31.087 enonauti, opinion leader e professionisti del vino |
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Forte del suo prestigio, della sua storia, del suo successo sui mercati del mondo, e anche dell'essere una delle una delle pochissime denominazioni d’Italia ad aver completato, da anni, una vera e propria zonazione, il Barolo si conferma “re” dei vini italiani. Anche nei valori dei terreni, ormai ai livelli dei territori più prestigiosi del mondo, come Borgogna o Bordeaux: dalle stime raccolte da WineNews, nelle Langhe patrimonio Unesco, un ettaro iscritto alla Docg del più importante rosso piemontese viaggia su 1,2 milioni di euro ad ettaro, cifra sotto la quale non si muove nulla, ma nei cru più importanti si arriva a punte di 2,5 milioni di euro ad ettaro. |
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Continuano a crescere le quotazioni dei vigneti italiani, trend in atto da alcuni anni, che si conferma dall’indagine WineNews, che ha raccolto le opinioni di imprenditori, broker ed intermediari, per trarre delle stime che, ovviamente, tali vanno considerate, al netto di tanti fattori che incidono sul valore reale degli ettari, al momento delle trattative vere e proprie (esposizione, età e stato dei vigneti, l’essere o meno in sottozone e cru storicizzati, la presenza di immobili, la contiguità con terreni già di proprietà dell’acquirente e così via). Al top assoluto il Barolo, su 1,2 milioni di euro ad ettaro (con punte di 2,5 milioni di euro nei cru più importanti). Stessa dinamica seguita dal Barbaresco, con quotazioni, però, ben inferiori, sui 600.000 euro ad ettaro. Altro territorio con quotazioni stellari è quello del Brunello di Montalcino (+4.500% in 50 anni), dove i valori oscillano tra i 750.000 ed i 900.000 euro ad ettaro, con punte che sfiorano il milione nelle vigne top. In Valpolicella, nella zona classica, si sta tra i 450.000 ed i 550.000, con vette anche di 600.000 euro. Ancora, si parte da 500.000 euro per un ettaro in Alto Adige, territorio d’eccellenza soprattutto per la produzione bianchista, dove arriva ad 1 milione nelle microzone più importanti, mentre si vai dai 400.000 ai 500.000 euro ad ettaro a Bolgheri, uno dei territori cresciuti di più negli ultimi anni. Ed ancor più rapida è stata la crescita del Prosecco: se nella Docg si va dai 400.000 ai 450.000 euro ad ettaro, con punte di oltre 1 milione di euro sulla collina di Cartizze , nella molto più estesa Doc Prosecco il valore di un ettaro vitato si aggira intorno ai 200.000 euro. In Franciacorta, le stime sono di 250.000 euro ad ettaro (300.000 per le vigne più pregiate). Quotazioni simili a quelle del Lugana, territorio storico e salito alla ribalta mediatica solo di recente, che ha visto i valori dei propri vigneti arrivare a 250.000 euro ad ettaro. Si tratta sui 170.000 euro per un vigneto iscritto a Chianti Classico, uno dei territori più belli del vino italiano, dove le vigne migliori e le sottozone arrivano a 200.000 euro, tra i 120.000 ed i 150.000 euro ad ettaro nei vigneti del Nobile di Montepulciano, e sui 90.000 nel Chianti. Ancora, si aggira sugli 80.000 euro un ettaro a Sagrantino di Montefalco, mentre sull’Etna si arriva anche a 100.000 euro ad ettaro. |
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Sono tanti i fattori che stanno determinando, da anni, la crescita del valore dei vigneti più prestigiosi d’Italia. Successo dei vini sui mercati del mondo, investimenti di impresa e, talvolta, capitali della finanza mondiale che cercano “beni rifugio” relativamente sicuri, passione per un prodotto che fa del legame con il territorio (e del valore di alcuni brand ed etichette simbolo) la sua forza, ma anche albi dei vigneti chiusi, che non consentono di crescere in dimensione. Una crescita diffusa, che, per alcuni territori storici, è stata lenta e graduale, in altri più rapida e recente. E stime, quelle di WineNews, che come tali vanno lette, perché al momento delle trattative vere e proprie entrano in gioco tanti fattori, ma che raccontano di quanto sia cambiato il vino italiano in poco più di 50 anni, dalla nascita delle Denominazioni. |
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Esistono “awards” praticamente per tutto, e da quest’anno anche per la ristorazione: a Parigi il 18 febbraio si riunirà la crème de la crème della ristorazione mondiale, candidata ai “World Restaurant Awards”, gli Oscar del cibo internazionale. 18 categorie, in cui sono divisi gli oltre 293 ristoranti, candidati da 45 Paesi di tutto il globo, tra cui non poteva ovviamente mancare l’Italia. Il Belpaese sarà infatti ben rappresentato in quasi tutte le categorie, con oltre 20 candidature, come quella a “Best Events”, in cui gareggiano ben due eventi, “Al Meni”, il circo del gusto di Massimo Bottura, e “Ein Prosit”, oppure quella a “Off-Map Destination”, in cui gareggiano L’Argine a Vencò della stellata Antonia Klugmann, La Madia di Licata di Pino Cuttaia e il Reale di Castel di Sangro, il tre stelle Michelin di Niko Romito. O la categoria ”Ethical Thinking”, ancora con Bottura, col suo “Food For Soul”, il progetto di mense anti-spreco che aiuto i più bisognosi, La Lanterna di Diogene di Modena e il S’Apposentu, dello chef-resistente Roberto Petza. I “World Restaurant Awards” vogliono infatti cogliere l’essenza dell’eccellenza culinaria legata non tanto al successo, quanto alla diversità, alla valorizzazione delle culture gastronomiche del mondo e all’etica. |
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Dopo 7 anni di procedure amministrative, Parigi ha la sua Indicazione Geografica: l’Ile-de-France PGI, che copre tutta la regione della capitale francese, con oltre 380 località e 46 vignaioli già pronti a far partire la produzione di rossi, bianchi e rosé (fermi). Ad ogni modo, Parigi non è il primo caso di Doc urbana: in Italia ci sono la Doc Venezia, nata nel 2010 con alle spalle una storia secolare, e della Roma Doc, nata nel 2011, e che nel 2018 ha visto la nascita del Consorzio con oltre 20 cantine associate. |
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Se, ed il condizionale è ancora d’obbligo, la Gran Bretagna lascerà l’Unione Europea (stasera il voto, negativo, alla proposta May), una delle conseguenze è l’uscita dal mercato unico unico europeo, che si traduce nella reintroduzione dei dazi per l’importazione di beni dai Paesi Ue. Compreso il vino, su cui potrebbe gravare un’ulteriore tariffa di 20 centesimi a bottiglia, per un costo complessivo, a carico degli importatori, di 100 milioni di sterline, come stimato dalla Wine & Spirits Trade Association, che chiede al Governo, mai così traballante, di “chiarire i loro piani tariffari, e di impegnarsi temporaneamente a non imporre tariffe sul vino per un periodo di almeno sei mesi”. Una proposta di buonsenso, ma il cielo, sopra Westminster, è più grigio del solito, tra chi spinge per una hard Brexit e chi oggi voterebbe remain. |
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“In futuro, avremo sempre più vino italiano, senza dubbio, perché la gente ha iniziato a diversificare i consumi, non compra più solo Bordeaux e Borgogna, ma ha cominciato a mostrare interesse anche per le altre Regioni di punta del vino, specialmente quelle italiane, che stanno attirando molto interesse, con le percentuali di vino italiano, sia in termini di volume che di prezzo sono destinate a crescere significativamente nei prossimi anni”. |
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