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N. 2.442 - ore 17:00 - Giovedì 12 Luglio 2018 - Tiratura: 31.087 enonauti, opinion leader e professionisti del vino |
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Già più giovane chef stellato d’Italia, e ora Chef Ambassador di una delle più antiche istituzioni culturali italiane, la Biblioteca Internazionale La Vigna, con sede a Vicenza, come El Coq, il suo ristorante, per Infusion, un progetto importante che fonde secoli di cultura gastronomica con la sua Cucina Istintiva: Lorenzo Cogo ha stretto un sodalizio con la storica Biblioteca della sua città, che, da ottobre, lo vedrà ai fornelli di El Coq con colleghi internazionali in una serie di cene a quattro mani con piatti studiati dagli antichi ricettari custoditi tra i 62.000 volumi de La Vigna, prima di tante iniziative per promuoverla e sostenerla economicamente. |
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Sono tre i pilastri su cui poggia il vino italiano: i grandi gruppi, le cooperative e quelli che Angelo Gaja, produttori iconico non solo del Piemonte ma di tutto il Belpaese, chiama gli “artigiani del vino”, che, come ha ricordato dal Congresso n. 73 di Assoenologi di Trieste, “hanno un ruolo ben preciso: sono quei produttori che hanno il controllo dal vigneto, producono uve proprie, le uniche che vinificano, e vanno sul mercato. E questo comporta la conoscenza di tre settori: viticoltura, cantina e mercato. Gli artigiani, quindi, svolgono un ruolo fondamentale, specie se si pensa che dalla fine degli anni Cinquanta e fino ai primi anni Ottanta, l’idea dell’industria del vino era quella di una qualità standard ad un prezzo contenuto, come se non potessimo lavorare in altro modo. Ma c’erano produttori - ricorda Gaja - che miravano all’eccellenza, lavorando su piccole quantità ed imponendo prezzi più elevati, mentre la stragrande maggioranza del vino che andava sui mercati esteri doveva avere un prezzo basso, sulla scia di una nomea affibbiataci dagli inglesi, secondo i quali il nostro vino era “economico e divertente”. In questo senso, i piccoli vignaioli si sono rivelati fondamentali nell’aiutare il vino italiano a crescere in immagine: sono andati in direzione ostinata e contraria, e non è stato facile”. È il pensiero critico che vince sul pensiero unico, e dove questo non è stato possibile, il vino di qualità non ha avuto alcuna chance. Non è, però, una rivoluzione senza “padroni”, al contrario, nella storia dell’ultimo secolo e mezzo di enologia italiana, ci sono stati veri e propri rivoluzionari, ad esempio, “Ferruccio Biondi Santi, Mario Incisa della Rocchetta, Edoardo Valentini, e ancora, Josko Gravner, Arianna Occhipinti, Walter Massa, Angiolino Maule. Ciò che accomuna tutti, senza dubbio, è “la passione, che non è una cosa facile da gestire, è un tormento, ti spinge su una strada diversa. Oggi, è sempre più importante un atteggiamento virtuoso in cantina ed in vigna”. La sostenibilità, che torna sempre più spesso nel racconto del vino, e che si fa “resilienza, ossia la capacità, da parte degli artigiani, di sapersi adeguare al cambiamento, uscendone indenni”. |
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Il vino traina la bilancia commerciale del food & beverage Ue: secondo i dati di Eurostat elaborati da Food & Drinks Europe, la “Confidustria” a livello europeo del settore, l’export del nettare di Bacco europeo nei primi quattro mesi del 2018 è cresciuto del 9,6% sullo stesso periodo del 2017, sfiorando i 3,3 miliardi di euro, di poco dietro alla carne in valori assoluti, che ha toccato un export intorno ai 3,4 miliardi di euro, ma in calo del -1,6%. Bene anche gli spirtis, sul terzo gradino del podio delle esportazioni, appena sotto i 3 miliardi di euro. Con l’Ue che vede un “attivo” della sua bilancia commerciale di 11,1 miliardi di euro, grazie ad un calo di -5,1 miliardi di euro nelle importazioni (17,6 miliardi di euro), combinato ad una diminuzione di 0,4 milioni di euro nelle esportazioni (a quota 26 miliardi di euro), anno su anno. |
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Il mercato del vino del Regno Unito, che per le etichette tricolore è il terzo in ordine di importanza dopo quello Usa e quello tedesco, continua a rappresentare uno snodo importante dal punto di vista delle tendenze generali, con la sua multiculturalità e il suo approccio mondializzato (l’Italia è il secondo esportatore dietro all’Australia), ma anche un problema in vista dell’entrata a regime della Brexit. In più, l’Inghilterra sta lentamente, ma con buona costanza, diventando un Paese produttore, grazie al climate change, principalmente, ma anche alla localizzazione, specialmente nel Sud dell’isola, di terroir che potrebbero trovare una loro originalità produttiva. Se n’è discusso al Congresso di Assoenologi, con David Gleave, presidente di Liberty Wines “Il mercato inglese negli ultimi 10 anni ha perso l’11%. I Millennials tendenzialmente bevono poco, ma il valore (l’8% dei ristoranti top d’Inghilterra vende il 16% del valore totale del vino importato) è invece in crescita, perché i prezzi sono in aumento, come le accise, evidenziando i primi effetti della Brexit annunciata”. Nei supermercati passa il 50% in valore ed il 67% in volume del vino acquistato, ma l’online continua a crescere velocemente, mentre il prezzo medio si attesta sulle 6 sterline a bottiglia allo scaffale. |
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Con una redditività maggiore dell’oro, il vino, da qualche anno, si è rivelato come uno degli investimenti più remunerativi e sicuri, tanto da attirare la curiosità della finanza. Certo, rispetto al mercato azionario ed a quello di altri beni di lusso, è e sarà sempre una nicchia, ma per chi volesse puntarci davvero è arrivato il primo corso dedicato al trading di fine wine: si chiama “Surfing the Wine”, è firmato Davide Sada ed Enrico Garzotto, fondatori di “Money Surfers”, sito specializzato in finanza, e la prima edizione è andata sold out. |
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La Germania è il quarto mercato al mondo per consumi, ma il primo per importazioni, con 15,2 milioni di ettolitri di vino acquistato ed una quota italiana del 19,1%, per 984 milioni di euro. Grandi quantità, ma prezzi medi generalmente bassi: se il giro d’affari del vino vale 7,3 miliardi di euro, il 78% arriva dalla Gdo (50% in discount, 28% nei supermercati), per un totale di 1,3 miliardi di bottiglie, di cui il 64% è di una private label, percentuale che sale al 66% nel caso del vino italiano. Facile allora immaginare e comprendere come il segmento entry level (sotto i 5 euro al litro) rappresenti una quota importante del mercato (quasi il 25%), più di ogni altro grande Paese importatore. Un mercato comunque solido, in cui la concentrazione nella distribuzione rende difficile un’alta remunerazione, ma che mostra un certo interesse per la fascia premium. |
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Paolo Panerai, editore e Ceo: “è un cambiamento di un modello di business per Class, che già da tempo lavorava per erogare servizi, al di là della vendita di contenuti in edicola o in abbonamento che, come tutti sanno sono in calo. Quindi puntiamo su servizi alle aziende e agli individui, Gambero Rosso è orientato da tempo in questa direzione, e copre il settore del wine & food, che Class non aveva, completando l’offerta”. |
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