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N. 2428 - ore 17:00 - Venerdì 22 Giugno 2018 - Tiratura: 31.087 enonauti, opinion leader e professionisti del vino |
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Il ruolo della Systembolaget, che in Svezia gestisce in regime di monopolio la vendita di bevande alcoliche, e quindi del vino, è centrale nel determinare le tendenze di consumo. E se continua il calo dei consumi, con il salutismo che trova terreno fertile e spinge verso vini bio e naturali, cresce la richiesta di vino di qualità, e si è pronti a spendere di più. A dirlo lo “Sweden Landscape” di Wine Intelligence, che profila il wine lover svedese, tra i più “anziani” al mondo: nel 44% dei casi ha più di 55 anni, con gli under 24, appena il 9%, che bevono sempre meno, mentre il 15% ha tra i 25 ed i 34 anni, il 15% tra i 35 ed i 44 ed il 17% tra i 45 ed i 54. |
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La ricerca della qualità, gli investimenti in sostenibilità, la storia ed il brand familiare come valore aggiunto: quelli che sono i punti di forza della stragrande maggioranza delle aziende del vino italiano, alla resa dei conti, non “rendono” in termini finanziari, creando una vera e propria dicotomia, da cui è difficile, se non impossibile, uscire, come racconta a WineNews il presidente dell’Istituto Grandi Marchi Piero Mastroberardino, produttore e docente di Economia e Gestione delle Imprese. “Il mondo del vino ha delle criticità, ma il paradosso vuole che se si vanno ad analizzare i conti capiremo che produce molto più flusso di cassa un’azienda elastica, che decide di approvvigionarsi sul mercato delle uve, senza fare investimenti agricoli, che non un’azienda che fa il percorso della cura maniacale del dettaglio in vigna ed in cantina. Nell’immaginario collettivo - spiega Mastroberardino - la seconda è un’azienda di qualità, la prima molto meno, ma nell’ottica finanziaria la prima è un’azienda meritevole, la seconda molto meno: il paradosso è che nella retorica o nella poetica del vino bisogna fare uno sforzo per recuperare sostenibilità economica”. Anche perché, quello del vino è un settore caratterizzato “da forti investimenti agricoli, rigidi, perché proiettati nel lunghissimo termine, e quindi poco agevolmente liquidabili”. Investimenti spesso sostenuti da aziende a gestione familiare, forti di un brand che “è sì una risorsa, perché ha appeal sul mercato, ma è anche costrittivo, perché nel momento in cui si sceglie una strada alternativa, che possa diminuire il valore di questo brand, si rischia di impattare notevolmente sul valore dell’azienda”. Altro aspetto fondamentale, come ricorda ancora Mastroberardino, è quello della dimensione aziendale, perché “spesso il piccolo imprenditore non se ne accorge, ma se mettesse tutti gli oneri figurativi in conto, probabilmente, non si reggerebbe in piedi. Di aziende di piccole dimensioni, nella filiera del vino, ce ne sono tantissime, ed aprire una riflessione sul tema non significa votarsi al gigantismo, ma nemmeno al nanismo: piuttosto, ad una dimensione sufficiente a consentire una buona distribuzione dei costi di struttura, mantenendo all’interno la componente agricola”. |
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Se nell’arco di un lustro, ossia tra il 2012 ed il 2017, le esportazioni di vino italiano nel mondo sono cresciute, in valore di oltre il 25%, il merito, in termini di tipologia, è ascrivibile principalmente alle Dop del Belpaese, le cui spedizioni, nel periodo, sono passate, in valore, da 2,18 a 3,21 miliardi di euro, una crescita pari al +47% con un conseguente aumento del prezzo medio, dai 3,9 euro al litro del 2012 ai 4,46 euro al litro del 2017, contro il +14% di tutti gli altri vini, passati da 2 a 2,3 miliardi di euro e da 1,42 a 1,49 euro al litro in termini di prezzo medio. Sono i numeri di Wine Monitor, commentati a WineNews dal direttore dell’istituto, Denis Pantini: “una tendenza positiva quasi per tutti, con l’exploit degli spumanti, mentre tra i mercati la crescita maggiore arriva da Usa e Gran Bretagna”. |
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“Il vino è arte, scienza, prodotto delizioso e business. Chi fa vino agisce in un mercato globale e deve farlo in modo efficace”. Come? Per “The Wine Economist” Mike Veseth tre sono le dinamiche che lo muovono: globalizzazione, mercificazione, rivincita dei “terroir-isti”. La prima dà l’opportunità a tutti i produttori di vendere vino in tutto il mondo. Occhio “però al “paradosso della scelta”: se è troppo ampia, i consumatori si confondono e non comprano. La soluzione? Brand efficaci, comodi per il consumatore che non deve aver fiducia nell’annata, varietà o regione, ma solo nel brand”. Ma se si semplifica troppo la mercificazione diventa assenza, e la bottiglia si svuota di significato. L’antidoto è l’autenticità, o la rivincita dei “terroir-isti”: soddisfare il desiderio di provare un’esperienza significativa. Quattro elementi aiutano l’approccio al mercato globalizzato: innanzitutto dove sta crescendo? Al momento in Cina e Usa, dove essere primi, veloci, efficaci; la “premiumization”: sono i vini di valore che stanno guadagnando mercato, con i consumatori disposti a sacrificare la quantità sulla qualità; il ritorno del brand, di prodotti attraenti che piacciono soprattutto ai Millennials; cosa li attrae? L’identificazione, il quarto elemento. |
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34,5 milioni di euro: è l'incredibile cifra raccolta il 17 giugno, ad un’asta a Ginevra di Baghera Wines, 855 bottiglie e 209 magnum della prestigiosa Maison francese di Henri Jayer, considerato il maestro dell'enologia di Borgogna. Un incanto da capogiro, anche se, e chi segue le aste enoiche lo sa, le bottiglie della griffe d'Oltralpe hanno sempre raccolto cifre record sotto i martelletti di tutto il mondo. E questa volta, le bottiglie erano davvero speciali: erano le ultime prodotte dal grande maestro, morto nel 2006. |
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Chef, attivista, paladina degli orti scolastici e dell’educazione al gusto nelle scuole, con la Laurea Honoris Causa ad Alice Waters da parte dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, introdotta dal fondatore di Slow Food Carlo Petrini, si è aperta oggi “Coltivare e Custodire”, la due giorni di confronto voluta dalla griffe del Barolo Ceretto all’Ateneo. Dove, domani, farà sedere attorno ad un tavolo gli intellettuali della terra per parlare de “La rivoluzione dell’orto”: da Petrini agli chef Enrico Crippa e Massimo Spigaroli, dalla paladina della Slow Medicine Victoria Sweet, al rettore Andrea Pieroni, e, ancora Bruno Ceretto e il presidente Coldiretti Roberto Moncalvo. Ma sarà anche imbandita una Tavola Accademica stellata a 6 mani, con gli chef Waters, Crippa e Spigaroli. |
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A guidare il commercio enoico mondiale sono le bollicine, la cui produzione, in larghissima parte è legata ai Paesi europei: Francia, Italia, Spagna e Germania. Ma sono sempre di più le regioni del Nuovo Mondo che puntano sugli sparkling, rigorosamente metodo classico, da Mendoza alla Napa Valley, fino a Ningxya, in Cina. A WineNews, il racconto di Joseph Hallam, del Wine & Spirits Education Trust. |
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