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N. 3.121 - ore 17:00 - Mercoledì 24 Marzo 2021 - Tiratura: 31.087 enonauti, opinion leader e professionisti del vino |
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Le grandi etichette si stappano al ristorante. Una massima con ben più di un fondo di verità, amaramente confermata dalle difficoltà che i grandi vini hanno patito, negli ultimi 12 mesi, a causa della lunga e forzata chiusura dei ristoranti. In Italia e nel mondo. Un freno anche alla costruzione ed all’affermazione dei brand del vino? A caldo, potremmo dire di sì, perché è a tavola, almeno in teoria, che la bottiglia fonda e costruisce il proprio mito, non certo sullo scaffale di un supermercato. Ma è davvero così? Non secondo Wine Intelligence. E i motivi (nell’approfondimento), in fin dei conti, sono tutti piuttosto logici. |
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In un mercato del vino in cui molto del valore aggiunto di una bottiglia dipende dalla provenienza geografica, la tracciabilità resta un tema fondamentale. E tra “Qr code”, “block chain”, fascette e così via, un metodo di cui si parla da tempo nel mondo del vino, ma uscito dal dibattito più recente, è quello dell’analisi degli isotopi, ovvero, semplificando, degli atomi di sostanze che si trovano nei vini di “quel” territorio rispetto ad un altro. Sistema sulla cui efficacia i pareri da sempre si dividono, ma che, in ogni caso, per funzionare richiede un database corposo e costantemente aggiornato. Cosa che fino ad oggi non è successa. E dare un nuovo impulso a questo processo è l’obiettivo della consultazione pubblica lanciata dalla Commissione Europea, nei cui intendimenti si legge la volontà di implementare questo strumento antifrode. Partendo dal fatto che le truffe e le contraffazioni “rubano” al mercato regolare del vino in Europa qualcosa come 1,3 miliardi di euro all’anno, il 3,3% del totale, con un danno importante a livello economico, ma anche di immagine e credibilità. “È necessario migliorare e rafforzare la lotta contro la frode nel settore vitivinicolo dell’Unione, in particolare per quanto riguarda il funzionamento della banca dati analitica dei dati isotopici di cui all’articolo 39 del regolamento delegato (UE) 2018/2732 della Commissione e il coordinamento delle relative responsabilità negli Stati membri e con il centro di riferimento europeo per il controllo nel settore vitivinicolo”, si legge nel documento, sul quale chi vuole può dare un feedback fino al 13 aprile 2021. “Negli ultimi 5 anni di produzione vinicola dell’Unione, la quota di vini che hanno ottenuto una Dop o una Igp segue una costante tendenza all’aumento, arrivando a superare il 60% della produzione totale. Nella campagna 2019/20, la quota ha sfiorato il 70%. Pertanto, e dato che i vini che hanno ottenuto un riconoscimento Dop o Igp sono a maggior rischio di frode, è necessario prevedere nella banca dati una quota maggiore di questi vini, oggi al 40% del totale dei vini Dop o Igp dell’Unione”. Da qui la proposta, in sintesi, di coinvolgere di più organizzazioni ed enti di controllo, per fornire più campioni da analizzare e creare una banca dati per il confronto con i vini da sottoporre a controllo, per verificarne la reale origine. |
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Lasciate alle spalle le polemiche (forse neppure prese in considerazione) sollevate dalla lettera di Federico Gordini, presidente “Milano Wine Week”, per la vicinanza tra l’evento milanese (dal 2 al 10 ottobre, orientato ai consumatori) e il “Vinitaly Special Edition”, evento b2b messo in calendario da VeronaFiere dal 17 al 19 ottobre, la fiera di Verona va avanti per la sua strada. Il 26 marzo (ore 11) sarà svelato il programma. Con Danese e Mantovani, presidente e ceo Veronafiere, ci saranno il Ministro delle Politiche Agricole Patuanelli, il Sottosegretario agli Affari Esteri di Stefano, il presidente dell’Ice Carlo Ferro, l’europarlamentare Paolo De Castro, e ancora Gino Colangelo di Colangelo & Partners, tra le più importanti agenzie di comunicazione Usa, e Alessandro Mugnano, ceo Interprocom Cantine Divine, importatore n. 1 di vino italiano in Cina. |
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“Quando abbiamo scritto il nostro libro sulle ultime scoperte genetiche che confermano come sia stato l’“heunisch” (l’unno), un vitigno creato artificialmente dai romani per poter rifornire tutte le regioni, ad aver rappresentato la coltivazione base in tutto l’Impero Romano, è emerso anche il ruolo politico affidato alla viticoltura: Roma occupava nuovi territori anche garantendo vita e sopravvivenza grazie all’agricoltura, e lo faceva piantando la vite, invasiva e longeva. “Vitis” era il bastone del comando del centurione. Una storia così, in Francia, sarebbe andata su tutti i giornali, avrebbe fatto il giro del mondo e magari ci avrebbero fatto un film”. È per raccontare storie come questa, che da “Roma Caput Vini”, il libro scritto da Giovanni Negri ed Elisabetta Petrini - con il contributo di Attilio Scienza - è nata l’“ispirazione” per la Tenuta Il Piglio, nuova azienda dello scrittore e della moglie, che si aggiunge a Serradenari nelle Langhe. Una piccola realtà su cui “abbiamo deciso di investire”, come spiega Negri a WineNews, e che sta nascendo nel territorio d’elezione del Cesanese del Piglio, il più famoso vino rosso e unica Docg del Lazio. Anche per raccontare, un vino da un vitigno autoctono antichissimo, le cui origini risalgono proprio ai romani, amato dagli Imperatori e dai Papi che avevano la corte papale ad Anagni. |
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Centinaia di lotti, dai territori simbolo di Italia e Francia, con le griffe del mondo enoico che, il 25 e 26 marzo, andranno sotto il martello di Finarte. Sul podio dei top lot del Belpaese, una 3 litri di Barolo Monfortino Giacomo Conterno 2010 (base d’asta 6.000 euro), una verticale di 16 annate di Sassicaia 2002-2017 (4.000 euro), e la Collezione Ornellaia 2012-2015 nella sontuosa confezione originale (2.500 euro). Dalla Francia, una Jeroboam di Château Lafite 1999, un La Tache 2001 di Romanée Conti e la Salon Le Mesnil Collection. |
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Il rumore del macinino che trasforma in polvere i chicchi di caffè, il liquido che scende lentamente nella tazzina, l’aroma che si diffonde, e poi il sapore in bocca, che per molti è sinonimo di risveglio, di partenza della giornata, oppure icona liquida di un momento di pausa: un vero e proprio rito per milioni di persone, quello del caffè espresso italiano. E, proprio in questi giorni, in cui di fatto è possibile viverlo solo in modalità “da asporto” e non al bancone del bar, per le restrizioni anti-Covid, il Ministero delle Politiche Agricole ha presentato la candidatura a Patrimonio Culturale immateriale dell’Umanità de “il Rito del caffè espresso italiano tradizionale”, che è anche vera e propria arte, e in subordine quella della “Cultura del caffè napoletano”, realtà tra rito e socialità. E il 31 marzo la Commissione Unesco darà il suo verdetto. |
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Il “j’accuse” di Vittorio Fiore, tra gli enologi più importanti del vino italiano, e produttore con Poggio Scalette. “Nella mia visione l’utilizzo del termine Chianti al di fuori del territorio del Chianti Classico è illegittimo, non c’è legame con il territorio al di fuori dei confini della zona classica. È una battaglia che dovremmo portare avanti, in Italia e anche in Europa. Ne va anche dei valori e dell’economia del territorio”. |
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