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WineNews
N. 3.254 - ore 17:00 - Mercoledì 29 Settembre 2021 - Tiratura: 31.116 enonauti,
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La News
 Gli italiani, il cibo e le “fake news”
L’89% degli italiani non sa riconoscere una “fake news”. E questo, con tutte le conseguenze del caso, vale anche per il cibo. E così, tra le bufale alimentari più diffuse, solo per il 12% è una fake news che “ricongelare prodotti decongelati fa male”, solo per il 16% “la frutta va mangiata lontano dai pasti” è una falsa notizia, e solo per il 27% “la carne rossa fa venire il cancro” e “il caffè fa male” sono una fake news. Esempi che emergono da “Infosfera”, ricerca presentata da Eugenio Iorio, professore di Social Media Analysis dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, al “Festival del Giornalismo Alimentare” di Torino.
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Primo Piano
“Uva perfetta” ed “enologia leggera”: la “Lectio Magistralis” di Luigi Moio, presidente Oiv
Al centro del Moio-pensiero c’è l’“uva perfetta”, quella con una composizione naturalmente equilibrata, condizione per esercitare quella che il neopresidente Oiv definisce una “enologia leggera”. Ovvero pratiche di cantina riconducibili ad una assistenza di processo, escludendo gli interventi correttivi. Questo punto di partenza evidenzia il cardine su cui si basa una viticoltura di qualità: la vocazionalità dell’area di coltivazione. È questo il filo rosso che ha guidato la lectio magistralis di Luigi Moio, uno dei più affermati scienziati del vino (e produttore in Campania con la cantina Quintodecimo) nella sua prima uscita da presidente dell’Organizzazione Internazionale della Vite e del Vino (Oiv), andata in scena al Cirve (Centro Intedipartimentale per la Ricerca in Viticoltura ed Enologia) dell’Università di Padova. Una lectio in cui il professor Luigi Moio ha tracciato la direzione scientifica che intende imprimere nel suo mandato, indicando le linee guida future della ricerca viticolo-enologica orientate alla sostenibilità, per far fronte alle attuali emergenze, climatica e ambientale, e a permettere alla vite di rimanere negli areali dei Paesi che hanno fatto la storia del vino.“L’uva è il frutto perfetto per fare il vino, unica bevanda alcolica monoingrediente - ha esordito Moio - a condizione che le componenti siano in perfetto equilibrio, cosa che si verifica se la pianta è in sintonia con il contesto ambientale, e ciò permette all’enologo di limitarsi a sovrintendere ai processi fondamentali della trasformazione in vino. Nascono solo così i vini di grande longevità, non raggiungibile se si interviene enologicamente per aggiustare questo o quel parametro”. E se il riscaldamento climatico sta mettendo in crisi tanti territori in tanti Paesi produttori, l’Italia, secondo Moio, ha un vantaggio competitivo non da poco: la grande ricchezza di vitigni storici dell’Italia, e la diversità di situazioni pedoclimatiche e orografiche nell’intera Penisola. “L’Italia del vino diventa un modello planetario di diversità e biodiversità senza concorrenti. Basta confrontare la piattaforma ampelografica italiana con quella francese basata su 20-30 vitigni che, invece, noi contiamo per regione. Abbiamo vitigni maggiori e minori, ancora da studiare, fonte di geni potenzialmente chiave per risolvere problemi esistenti nei primi”.
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Vino e ristorazione, insieme a Vinitaly
Ristorazione e vino, due settori strettamente legati, che hanno sofferto insieme la pandemia, e che insieme stanno ripartendo. Due mondi che si incontreranno, in maniera peculiare, a “Vinitaly Special Edition”, la tre-giorni straordinaria di Veronafiere riservata al wine business in programma dal 17 al 19 ottobre a Verona. Che punta i riflettori sul mercato Italia e mette in campo una collaborazione strategica con Fipe (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), che rappresenta oltre 300.000 aziende nel Paese, ed un settore che, in tempi normali, sviluppa un valore aggiunto di 46 miliardi di euro. Il 19 ottobre, è in programma una giornata di iniziative e walkaroung tasting specifici per gli operatore dell’Horeca, Canale che, per le cantine italiane, vale il 36% delle vendite interne, per un valore di oltre 2 miliardi di euro (dati: Unione Italiana Vini - Uiv 2019).
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Focus
Knight Frank: fine wine meglio di orologi e automobili
I fine wine sono un ottimo investimento, lo scriviamo spesso, affidandoci ai numeri, in continua crescita, del Liv-ex, il benchmark del mercato secondario dei fine wine. E lo sono anche rispetto agli altri beni di lusso, come racconta il “Knight Frank Luxury Investment Index Q2 2021”, che ha analizzato l’andamento degli investimenti degli ultimi 12 mesi (da giugno 2020 a giugno 2021), a partire dall’arte, che secondo l’“All Art Index” di The Art Market Research ha patito un calo del 13% tra aprile 2020 ed aprile 2021, con un recupero del 10% tra aprile e luglio, grazie all’esplosione della crypto arte - la piattaforma “Art Blocks” ad agosto ha stoccato 600 milioni di dollari di contenuti artistici, mentre la collezione NFT “Bored Ape Yacht Club” è stata battuta da Sotheby’s a 24,4 milioni di dollari - ed un calo complessivo nel periodo esaminato del 2%. Tornando a beni più tangibili, è proprio il vino il best performer del “Knight Frank Luxury Investment Index Q2 2021”, con una crescita degli investimenti del 13% secondo il “Knight Frank Fine Wine Icons Index”, curato dal software di gestione degli investimenti enoici “Wine Owners”. Sul podio delle performance degli altri beni di lusso, dietro al vino, gli orologi (+5%) e le automobili (+4%), per una media tra tutti gli asset analizzati dal “Knight Frank Luxury Investment Index” del +3%.
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Cronaca
“Save The Brand 2021”, vino al top
Quando di parla di made in Italy, i marchi del vino e del cibo sono sempre sugli scudi, ad un tempo perle luminose e architravi di quello stile di vita italiano ammirato nel mondo, e creatori di un valore che viene ridistribuito nei territori. E ad eleggere i migliori è stato il premio “Save The Brand 2021”, promosso da LC Publishing Group. Dove spiccano tanti grandi nomi del vino. Da Berlucchi al Gruppo Lunelli (Ferrari, Bisol e non solo), da Masi Agricola a Tasca d’Almerita, da Caparzo a Podere La Pace (nell’approfondimento).
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Wine & Food
Il cous cous, simbolo di integrazione e contaminazione. L’ultimo esempio? La Romania
Il cibo è il simbolo di contaminazione fra culture, ponte fra popoli e lingua internazionale. Uno degli esempi più evidenti è il cous cous, piatto tipico di molti Paesi orientali, ma “giramondo”. Così non stupisce che, a vincere il “Campionato del Mondo”, di cous cous - che ha visto confrontarsi a San Vito Lo Capo chef di otto Paesi (Afghanistan, Argentina, Italia, Marocco, Mauritius, Romania, Senegal, Spagna) nel “Cous Cous Fest” n. 24 - è stata la Romania, alla prima partecipazione al festival, Paese in cui questo piatto non fa certo parte della tradizione gastronomica. Il merito è di Claudia Maria Catana, originaria di Sibiu, in Transilvania, e chef e patron del ristorante “Cucina ai Monti” a Bracciano (Roma), che ha conquistato la giuria, presieduta dalla blogger italo-americana Eleonora Baldwin e composta dagli chef Andy Luotto e Mareme Cisse, campionessa in carica.
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La vendemmia nelle Langhe del Barolo, dove il rapporto uomo-terra ha un nome: Cru
Tra pochissimi giorni è raccolta delle uve in uno dei territori più prestigiosi del vino italiano, le “impressioni di settembre” dei produttori: da Matteo Ascheri (Presidente Consorzio di Barolo e Barbaresco) a Luciano Sandrone, da “Mr Monfortino” Giacomo Conterno a Roberta Ceretto (Ceretto), da Federica Boffa (Pio Cesare) ad Andrea Farinetti (Fontanafredda e Borgogno), da Stefano Gagliardo (Poderi Gagliardo) a Davide Abbona (Marchesi di Barolo).
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