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WineNews
N. 2.791 - ore 17:00 - Giovedì 5 Dicembre 2019 - Tiratura: 31.087 enonauti,
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La News
Bellanova vuole puntare sull’Ocm olio
“Abbiamo convinto i consumatori a spendere 10 euro e più per una bottiglia di vino che dura un pasto, non riusciamo a convincerli a spenderne 8 per una bottiglia di olio che dura 3 o 4 settimane”. Così la Ministra Teresa Bellanova, dal Tavolo Olio convocato dal Ministero per le Politiche Agricole. E grazie all’esperienza positiva in altri comparti, Bellanova ha detto di voler puntare su una Ocm olio, come per il vino. “Alla Commissione europea - ha detto - abbiamo chiesto di potenziare l’Ocm olio con contributi diretti agli agricoltori per la ristrutturazione, la riconversione e l’impianto di nuovi oliveti, l’ammodernamento dei frantoi oleari”.
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Primo Piano
Brand che fanno crescere le denominazioni, investitori stranieri: a WineNews, Rémi Krug
“Una denominazione è fatta di “giocatori”, gli imprenditori, marchi, cooperative. C’è, dunque, chi è più bravo degli altri, perché fa un vino migliore o lo sa vendere meglio. Queste realtà si posizionano come una locomotiva che tira tutta la denominazione. Poi c’è chi è nella media e chi è indietro. Purtroppo l’unicità non esiste. C’è chi ha più talento e chi meno. In una stessa denominazione ci sono aziende che hanno creato un’impostazione del brand staccato dalle logiche comunicative della “appellation”. Ma queste fanno bene, perché se sono un po’ staccati, possono tirare di più. Quello che fa male alla denominazione è chi produce un vino cattivo e non lo sa vendere. Non si può dire se la denominazione deve superare la marca o viceversa, stiamo parlando di esseri umani, talenti e visibilità, e di conseguenza in ogni denominazione ci saranno le locomotive”. Come i Grand Cru a Bordeaux, o i grandi marchi in Côtes du Rhône, e nel caso della Champagne, ovviamente. Ecco la versione di Rémi Krug, mito dell’enologia mondiale, invitato dal Consorzio Italia del Vino, a tu per tu con WineNews. Già patron della Maison di famiglia icona dello Champagne, dal 1973 al 2007, anno in cui è andato in pensione, ciò in cui ha eccelso nella sua vita lavorativa è stato creare un marchio, oggi di proprietà Lvmh. Marchi in eterno rapporto di forza con le denominazioni, che deve essere gestito, tra l’importanza di creare brand più forti o l’affidarsi al loro cappello. La sua visione del mondo del vino è attualissima e declinabile al panorama enoico italiano. In cui, dalla Francia e non solo, negli ultimi anni tanti stranieri hanno investito e stanno investendo, proprio come nella Champagne. “In Champagne all’inizio si sono criticati i nuovi arrivati e poi dopo anni si è visto che le cose andavano. La Champagne assorbe chi è bravo, chi non è bravo sparisce. Senza gli investitori stranieri non ci sarebbe Bordeaux, sono una necessità. Dove ci sono di più significa che c’è un territorio accattivante. Ma soprattutto non dipende da dove arriva l’investitore, ma cosa ha in testa. Se si tratta di un investimento per costruire qualcosa, in un arco di minimo dieci anni, allora è un bene per tutti. Chi fa qualcosa di positivo per la propria azienda allora porta un valore a tutta la denominazione. Chi fa qualcosa di brutto danneggia tutti”.
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SMS
Vino, Bruxelles risponde ai dazi Usa
Tornano ad alzarsi i toni tra Usa ed Europa, con minacce di nuovi dazi, neanche troppo velate, ed un Vecchio Continente che fa fatica a muoversi compatto. Una prima risposta, però, Bruxelles è riuscita a darla: la Commissione Europea proporrà ai Paesi membri un aumento del contributo Ue alle campagne di promozione per il vino, all’interno dell’Ocm, dal 50 al 60% delle spese ammissibili. Le bozze di regolamento, che saranno presentate oggi per una prima discussione, prevedono altre due importanti novità: autorizzano i produttori a cambiare i mercati target delle campagne in corso, ad esempio spostandole dalla Cina agli Stati Uniti, e di estenderle oltre il limite previsto di 5 anni. Cadono così due limitazioni importanti, che hanno spesso ostacolato una copertura continuativa dei mercati.
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Focus
Cina, i grandi vini italiani tra i fine wine nell’alta ristorazione 
Un deciso recupero nella seconda parte dell’anno permetterà alle esportazioni enoiche italiane verso la Cina di chiudere il 2019 senza eccessivi drammi, seppure in territorio negativo. Eppure, secondo la Camera di Commercio Cinese, citata dallo studio di MiBD, nei primi 5 mesi 2019, 2.236 importatori di vino hanno dismesso la loro attività, un crollo del -35%. Un disamore, quello dei consumatori cinesi per il vino, certificato dai numeri della China Association of Imports and Exports of Wine & Spirits, che a giugno avevano quantificato il calo delle importazioni in un -19,45% a valore e del -14,09% a volume. Ma c’è un raggio di sole: nella prima piazza per consumi del Paese, Shanghai, i territori ed i grandi brand italiani sono stati capaci di ritagliarsi un ruolo importante. Dall’analisi dei 18.784 vini in carta nei 180 fine restaurant della città, ad un prezzo superiore di 250 euro, emerge che tra le denominazioni più presenti ci sono il Toscana Igt, al quarto posto dietro a Pauillac, Napa Valley e Margaux, il Barbaresco, al n. 6, il Barolo al n. 9, il Brunello di Montalcino al n. 10, Bolgheri al n. 13, e l’Amarone della Valpolicella al n. 18. Tra i grandi brand tricolore il più presente è Gaja, al n. 4, al n. 6 c’è Antinori, al n. 8 Tenuta San Guido ed al n. 14 Ornellaia.
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Cronaca
Lungarotti incontra l’arte di MaMo
“Muvit MaMo Moo - Un filo rosso tra arte e vino”, l’arte di MaMo incontra la storia narrata dalle oltre 4.000 opere installate permanentemente al Muvit e al Moo, i due musei di Torgiano (Umbria) dedicati a due delle eccellenze agroalimentari italiane gioiello dell’Umbria, il vino e l’olio d’oliva. Col contributo della griffe enoica simbolo del territorio Lungarotti, che, con la sua Fondazione, ha contribuito proprio alla nascita dei due musei, che dedica alla mostra una limited edition di Rubesco 2017, con etichetta firmata proprio da MaMo.
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Wine & Food
Il caffè espresso italiano si prepara a diventare Patrimonio Immateriale dell’Unesco
Dopo il riconoscimento da parte dell’Unesco della pizza, come patrimonio immateriale, e delle Colline vitate del Prosecco, potrebbe essere adesso il turno di un altro simbolo di eccellenza italiana nel mondo, nel campo dell’enogastronomia: il caffè espresso. Per il caffè, di cui se ne consuma nel Belpaese 5,9 chili annui pro-capite, seconda bevanda più bevuta nel mondo dopo l’acqua, potrebbe arrivare infatti il brindisi di vittoria ufficiale a novembre 2020, come è stato annunciato ieri dal Consorzio di tutela espresso italiano tradizionale, a chiusura di un iter per l’iscrizione all’Unesco avviato a marzo del 2016, con l’obiettivo di promuovere il vero caffè espresso italiano tradizionale, e proteggere la cultura e la tradizione dell’Italia.
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WineNews.tv
“La minaccia di Trump di nuovi dazi ci preoccupa non poco”: così Sandro Boscaini
“Per Italia, Austria e Turchia, nel mirino con la Francia, i passi non sono così avanzati, ma sono sotto osservazione. La fiscalità contraria agli interessi Usa potrebbe portare ad un irrigidimento. Ci auguriamo che non succeda”, dice il presidente Federvini. “Le ritorsioni daziarie devono finire. Avevamo raggiunto un buon punto di libertà nei mercati con vantaggi per tutti. Abbiamo bisogno di mercati liberi e accordi comunitari con Paesi Terzi che possano agevolare l’apprezzamento che c’è per il vino italiano, come in Giappone e Canada”.
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