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N. 2.650 - ore 17:00 - Lunedì 6 Maggio 2019 - Tiratura: 31.087 enonauti, opinion leader e professionisti del vino |
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Mettere insieme 12 ettari di vigneti su piccole isole, come le Eolie, è un’impresa. Ma è quanto fatto da Tasca d’Almerita, una delle realtà di riferimento del vino di Sicilia, che ha ampliato il suo progetto Capofaro, a Salina, dedicato alla Malvasia, con la presa in gestione di oltre 6,5 ettari di vigna, tra cui 2 sulla stessa Salina, e soprattutto 4,5 a Vulcano. “Una vigna stupenda - commenta a WineNews Alberto Tasca - che uniremo al nostro progetto di Capofaro”. E che ora, dunque, può contare su 12 ettari di vigneti, con diverse esposizioni e suoli: “vinificheremo tutte le parcelle in maniera separata, e vedremo i risultati. Vogliamo valorizzare le singole vigne”. |
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La grandezza ed il successo del vino italiano nel mondo sono legati, principalmente, ad una manciata di vitigni: Sangiovese, Nebbiolo, Nero d’Avola, Montepulciano, Verdicchio, Vermentino, Glera. Tutti, rigorosamente, autoctoni. Eppure, non sono che la punta ben visibile di un iceberg gigantesco, fatto di oltre 500 varietà ammesse e coltivate in Italia. Un patrimonio di biodiversità tutt’altro che simbolico, perché se è vero che per la maggior parte dei casi si parla ancora di fenomeni economicamente marginali, la storia insegna che il successo, o l’insuccesso, di un vitigno, nasce da una variabile enorme di fattori: ambientali, sociali, economici ed ovviamente climatici. Ecco perché varietà come il Pelaverga, la Freisa, la Nascetta, solo per citarne qualcuna, potrebbero rivelarsi, per un motivo o per un altro, i campioni della viticoltura del futuro. Una ricchezza ampelografica tutta da difendere, di scena a “BING - Best Italian Native Grapes and Wines”, la rassegna firmata Ian D’Agata e Collisioni, andata in scena a Barolo, con quasi 100 produttori che agli autoctoni hanno dedicato buona parte del proprio lavoro, che si traduce in vini unici, testimonianza tangibile, e godibile, della diversità enoica del Belpaese. “Immaginate - spiega a WineNews Ian D’Agata - lo Schioppettino, il Tazzelenghe, la Malvasia di Casorzo, la Nascetta, oggi molto popolare, ma anche la Malvasia Bianca di Basilicata, il Nasco, e le potenzialità che potrebbero avere. Sono tutte uve di cui non sappiamo, essenzialmente, nulla, le migliori esposizioni, i migliori terreni, i migliori portainnesti, ma che in passato hanno avuto una grande importanza, citate già nel Duecento, e molto bevute ed apprezzate allora, e non sono sparite (o quasi) perché davano vini meno buoni, ma perché la società cambia, il mondo anche, e quello che oggi apprezziamo due secoli fa non aveva lo stesso successo”. Succede, così, che molti autoctoni che erano stati abbandonati, conclude Ian D’Agata, “sono stati rivalutati, perché non ci sono vitigni cattivi: il Dolcetto, come la Barbera, il Nebbiolo, la Malvasia Rosa, il Primitivo, il Nero d’Avola danno vini meravigliosi, ed è nostro dovere salvaguardare la diversità italiana dando spazio e possibilità di crescita economica alle tante famiglie del vino italiano, in un Paese che si regge molto sull’economia del vino”. |
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Sembrava marciare spedito l’iter per l’accesso ai fondi per la promozione nei Paesi Terzi dell’Ocm Vino 2019, dopo la firma del decreto 3.893 del 4 aprile 2019 da parte del Ministro Gian Marco Centinaio, e invece no. Da quanto apprende WineNews, il decreto direttoriale che dovrebbe, di fatto, dare il via al bando, è già depositato in Corte dei Conti per la Registrazione e sarà presto in pubblicazione, lasciando però irrisolte alcune questioni tecniche su cui sono stati fatti dei rilievi (tra cui alcuni criteri di premialità) e che, se modificate, richiederebbero un nuovo passaggio in Conferenza-Stato Regioni. Modifiche a cui la filiera, per accelerare i tempi, ha rinunciato. Con alcuni nodi lasciati, però, “sospesi”, che potrebbero, come nessuno si augura, prestare il fianco a problematiche e ricorsi una volta pubblicate le graduatorie ...
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Una fortuna di oltre 3 miliardi di dollari costruita grazie al petrolio, una passione per il vino che lo ha portato ad investire nella “sua” Argentina, in Uruguay, a Bordeaux e soprattutto in Italia. O meglio, in Toscana, ed in tre dei suoi territori più importanti, il Chianti Classico (Dievole), Montalcino (Poggio Landi) e Bolgheri (Tenuta le Colonne e Tenuta Meraviglia), dove in pochi anni ha investito 120 milioni di euro, mettendo insieme 330 ettari di vigne. È il percorso di Alejando Bulgheroni, tra i 1000 uomini più ricchi del mondo secondo Forbes, e produttore di vino. “Un percorso iniziato in Uruguay nel 2006-2007, quando ho conosciuto l’enologo toscano Alberto Antonini, che ha fatto crescere in me la passione per questo mondo - racconta a WineNews - al punto che, se da un lato continuo a lavorare sodo nel mondo del petrolio, lo faccio anche nel settore del vino. La Toscana è il posto giusto per fare grandi vini. Quando sono arrivato qui e l’ho conosciuta meglio, ho capito di aver preso la giusta decisione”. E se per ora si pensa a consolidare gli investimenti fatti, sul futuro nulla è scritto. Anche perché, investire nella terra e nel vino, è qualcosa che Bulgheroni stesso consiglierebbe anche ad altri imprenditori, “e molti, in Argentina, ma anche negli Stati Uniti, lo stanno già facendo”. |
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Se è vero che questa è una delle primavere più fredde e bizzarre degli ultimi decenni, che sta mettendo in difficoltà gli agricoltori, è anche vero che regala delle immagini di straordinaria bellezza. Come quelle che arrivano dal Trentino, dai filari di Maso Michei, tenuta di proprietà di Martin Foradori Hofstätter, dell’omonima cantina di Tramin, che ieri sono stati imbiancati da 20 centimetri di neve. Ma il clima pazzo ha già causato, secondo la Cia-Agricoltori Italiani, più di un milione di euro di danni. |
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Un fatturato 2018 in crescita a 330 milioni di euro (+4,6%), il 71% legato al vino (e per il 74% grazie alle esportazioni), utili a 5 milioni di euro e margine operativo lordo (Ebitda) sui 21 milioni di euro: i numeri da record del colosso Caviro, secondo player assoluto del vino italiano, che oggi a Faenza, in assemblea, ha approvato il bilancio 2018. Cresciuto soprattutto grazie al consolidamento dell’export, in particolare Uk, Germania, Stati Uniti, Giappone e Russia. Ma se all'export il 2019 è partito in linea con gli obiettivi (+10%), preoccupano le tensioni sui prezzi dei vini sfusi, a ribasso dopo la vendemmia 2018, decisamente più abbondante del 2017, con un mercato che, spiegano in vertici di Caviro, “richiede maggiore promozionalità”. Intanto, però, si punta sul rafforzamento dei marchi, dal progetto legato al “Metodo Leonardo” per i vini ispirati al “Genio” di Vinci, al Tavernello. |
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Nei giorni di Sicilia En Primeur (6-10 maggio, by Assovini) le parole di Antonio Rallo, presidente della Doc Sicilia, tra un futuro da scrivere e un presente che vede crescere la reputazione del vino siciliano tanto in Italia che a livello mondiale, come raccontano le ricerche firmate da Nielsen e Wine Intelligence.
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