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N. 2.874 - ore 17:00 - Lunedì 6 Aprile 2020 - Tiratura: 31.087 enonauti, opinion leader e professionisti del vino |
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L’impatto del Coronavirus si sente anche nei fine wine, con gli indici del Liv-Ex, che accelerano una corsa al ribasso già vista lungo tutto il 2019 e nelle prime settimane del 2020. Da inizio anno, con i dati chiusi il 31 marzo 2020, il Liv-Ex 100, l’indice di riferimento della piattaforma, segna il -1%, con il Liv-Ex 1000 a -2,6%. Unico ancora in territorio positivo, seppur di un piccolissimo 0,59%, è l’Italy 100, indice dedicato alle migliori etichette del Belpaese (il “trittico” di Antinori formato da Solaia, Tignanello e Guado al Tasso, Sassicaia, Masseto, Ornellaia, le etichette di Gaja ed il Barolo Monfortino Riserva di Giacomo Conterno). |
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Linfa vitale dell’economia e della socialità italiana, tra i primi attrattori di turismo, pilastro strategico anche per il vino a più alto valore aggiunto (tanto da essere target di tutti i produttori che puntano sulla qualità), la ristorazione italiana è il settore, insieme al turismo, più colpito dalla crisi Coronavirus, e dal condivisibile “lockdown” messo in atto dal Governo italiano per arginare il contagio. Il dato di fatto è che, da settimane, e ancora per settimane, i ristoranti d’Italia sono chiusi. E chi riesce a lavorare con l’asporto sopravvive all’oggi, ma di certo non compensa le perdite. E ora, sebbene tutte le ipotesi della cosiddetta “Fase 2” del contenimento del Covid-19 mettano temporaneamente in fondo alla lista bar e ristoranti tra le attività che potranno riaprire i battenti, è un dato di fatto che la politica debba tenere conto di queste imprese anche nell’immediato. Prima misura necessaria è quella di iniettare liquidità nelle imprese, e questo le istituzioni devono farlo subito, con concretezza (le perdite di ristorazione e hotellerie, secondo diverse stime, si aggireranno sui 20 miliardi di euro nel 2020, ndr). Ma si parla anche, come ricorda tra le altre la Fipe, di una moratoria degli affitti, di sgravi contributivi per evitare il più possibile i licenziamenti, e non solo. Nel pieno di un’emergenza sanitaria mondiale senza precedenti, pensare alla ristorazione italiana non è un esercizio di stile, perché vuol dire pensare al futuro dell’economia dei territori, soprattutto quelli agricoli e vinicoli. Dalla ristorazione passa gran parte del fatturato delle cantine italiane che fanno qualità ed investono nel territorio, mantenendolo sano e bello (e che oggi, a loro volta, con l’horeca bloccata, respirano a fatica tra gdo ed e-commerce, pur in crescita a doppia cifra, ndr), come tanta della sopravvivenza degli artigiani del cibo di qualità e delle produzioni agricole tipiche, spesso storiche e recuperate proprio grazie all’attenzione della ristorazione. Che, in ogni caso, si troverà a fare i conti con regole nuove sulle distanze e le modalità di servizio, spazi da ripensare, ma anche un approccio al cibo che, tra costi e cambiamenti nei consumatori, inevitabilmente cambierà. Con la ristorazione che sarà una avanguardia nella costruzione della nuova socialità, dopo la pandemia. |
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Al 31 marzo 2020, erano 54 i milioni di ettolitri di vino nelle cantine italiane, 5,9 milioni di ettolitri di mosti e oltre 260.000 ettolitri di vino nuovo ancora in fermentazione. A dirlo l’ultimo report del Ministero delle Politiche Agricole “Cantina Italia” che registra la presenza di oltre 54 milioni di ettolitri di vino. il 57,5% del vino è fisicamente detenuto nelle Regioni del Nord. Nelle cantine del Veneto ci sono 13,3 milioni di ettolitri, in Emilia Romagna 6,3 milioni, in Toscana 5,7 e in Puglia 5,6. Per i vini a Denominazione e Indicazione Geografica, le maggiori giacenze sono quelle di Prosecco con 3,7 milioni di ettolitri (8,9% del totale), l’Igt Puglia (1,7 milioni di ettolitri), l’Igt Toscana (1,5) il Terre Siciliane (1,5), la Doc Sicilia (1,4) la Doc delle Venezie (1,4), il Montepulciano d’Abruzzo (1,4), il Chianti (1,3) e l’Igt Salento (1,2). |
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Un brusco crollo del fatturato in 4 cantine italiane su 10 e l’allarme liquidità che mette a rischio il futuro del vino del Belpaese, che occupa 1,3 milioni di persone per un giro d’affari di 11 miliardi di euro. È lo scenario, prospettato da un’indagine firmata da Ixè e dalla Coldiretti, che ha elaborato un piano salva vigneti per far fronte alle gravi difficoltà generate dall’emergenza Coronavirus. La chiusura forzata di alberghi, agriturismi, bar e ristoranti, sia in Italia che all’estero (l’export, nel 2019, ha raggiunto i 6,4 miliardi di euro, il massimo di sempre, pari al 58% del fatturato totale), ha portato ad un forte calo di vendite dei vini di qualità. E così le aziende non riescono a far fronte ai pagamenti e a finanziare il ciclo produttivo che, dalla campagna alla cantina, non si può fermare. “Le misure messe in campo con il blocco delle rate di mutui, prestiti, tasse e contributi sono certamente utili ma non bastano: servono prestiti a lunga scadenza a tasso zero e garantiti dallo Stato, pari ad una percentuale del fatturato dell’anno precedente, da erogare attraverso una semplice richiesta alle banche. Un intervento che dovrebbe essere garantito indipendentemente dalla dimensione aziendale al quale va aggiunta - precisa la Coldiretti - anche una compensazione a fondo perduto sulle perdite subite sotto forma di risarcimento del danno”. |
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Alle tradizioni non si può dire di no. Perché se il Covid-19 ha fatto cambiare le nostre abitudini, nulla può fare contro la forza della fantasia e delle idee. Lo sanno bene i vignaioli del Trentino che non si sono rassegnati ad alzare bandiera bianca e, a modo loro, e quindi a distanza, hanno deciso di portare avanti il rito della spremitura legato al Vin Santo Trentino, da raccontare per immagini, con cantine come Gino Pedrotti, Pisoni, Giovanni Poli, Maxentia e Francesco Poli. Condividendo in modo diverso un rito che va avanti da 500 anni. |
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Nell’emergenza, la riconversione delle attività industriali diventa fondamentale per garantire bisogni diventati, ormai, primari. Come i gel disinfettanti, che, a causa dell’epidemia di Covid-19, sono diventati una rarità. Ed anche in Italia, dopo gli esempi arrivati dal resto del mondo, da Bacardi a Pernod Ricard Usa, anche i big degli spirits si muovono. Lo ha fatto Campari Group insieme Intercos Group, avviando una produzione destinata agli ospedali lombardi, mentre Pernod Ricard, di cui fa parte lo storico amaro Ramazzotti, ha convertito la propria produzione per aiutare la comunità di Cannelli con un disinfettante per mani da distribuire localmente. E tante sono le grandi e piccole distillerie del Belpaese ad aver intrapreso la stessa strada, dopo che Assodistil ha raccolto l’invito del Governo a produrre alcol conforme alla produzione di saponi e detergenti disinfettanti. |
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“La natura vive le sue stagioni, al di là del Coronavirus. E da qui alla vendemmia sono tante le cose da fare, con la presenza dell’uomo, in sicurezza. Le piante seguono il loro ciclo, chi lavora in vigna lo fa con grande senso di responsabilità per la salute di tutti. E riusciamo a lavorare anche grazie alla tecnologie, seguendo via video le vigne del mondo, senza interrompere la formazione per la scuola di potatura della vite”. |
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