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N. 2.429 - ore 17:00 - Lunedì 25 Giugno 2018 - Tiratura: 31.087 enonauti, opinion leader e professionisti del vino |
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La grande cucina italiana sul tetto di Londra, in una grande cena evento sul rooftop dei celebri magazzini Selfridges, con Identità Golose ed il SanCarlo Group, impero della ristorazione della famiglia Distefano (25 ristoranti italiani tra Uk e mondo). Ai fornelli del “Viaggio in Italia”, il 27 giugno, Annie Féolde e Alessandro Della Tommasina della mitica Enoteca Pinchiorri (tre stelle Michelin), Alessandro Negrini e Fabio Pisani de Il Luogo di Aimo e Nadia (due stelle Michelin), gli stellati Cristina Bowerman del Glass Hostaria di Roma e Alfonso Caputo della Taverna del Capitano di Massa Lubrense, e Corrado Assenza del Caffè Sicilia di Noto. |
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Il cibo italiano tira, tanto che il settore, nel complesso, ha registrato una crescita più che doppia rispetto alla media del Belpaese, con un solido +3,6%, paragonato al +1,5% del Pil nazionale. È l’evidenza che emerge dal Food Industry Monitor 2018 elaborato dall’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, che ha analizzato i dati economici e competitivi di 815 aziende per un fatturato aggregato di circa 61 miliardi di euro, rappresentative del 71% delle società di capitali operanti nel settore Food italiano. Dai cui dati emerge una media del 21,7% nel rapporto tra valore aggiunto e ricavi (dato 2016), dove spiccano i settori del food equipment (37,9%), dei distillati (+30,1%), dell’acqua (+25,8%) e, a seguire, sopra la media, quelli dei dolci, del packaging, della birra, della pasta, del caffè e dei surgelati. Appena sotto la media, con il 19%, c’è il settore del vino, seguito da quello delle conserve (17,7%), dai prodotti a base di carne (16,2%), dal latte e dei derivati (15,7%), delle farne (9,8%) e, in chiusura, dall’olio (6,9%). Un trend di lungo periodo, che si conferma anche nell’analisi della crescita dei ricavi tra il 2009 ed il 2016, che tra i 15 settori analizzati vede in leggerissimo calo solo la birra (-6,9%), mentre tutti gli altri sono in positivo, a partire dalle farine (+8,3%), seguite dal food equipment (+7,4%) e dal caffè (+6,8%). Il vino, in questo scenario, fa segnare un +5,1%, meno anche di olio (+6,6%), surgelati e packaging (+5,2%), ma più di acqua, conserve, distillati, dolci, latte e derivati, pasta e carne, tutti sotto la media complessiva del settore, a +3,8%. Tra i diversi settori, però, ci sono notevoli differenze se si guarda all’indice di “Crescita Sostenibile”, che mette in relazione la crescita moltiplicata per la reddività, in rapporto con il tasso di indebitamento medio. E qui, il settore più solido è quello del caffè, con un punteggio di 27,5, seguito da quello del food equipment (25) e dai distillati (20,7). A distanza, seguono le farine, con 10,9 punti, ed il vino, in quinta posizione con 10,8. Buone le prospettive: nel biennio 2018-2019, le esportazioni sono previste in crescita soprattutto per l’acqua (+14,7%), le carni (+8,4%), i dolci (+6,6%), ed il vino (+6,4).
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La guerra commerciale tra Usa, Cina ed Ue, per ora, ha coinvolto marginalmente l’agroalimentare. Ma c’è preoccupazione, perché in una disputa partita sull’acciaio e l’alluminio, sui cui Trump ha imposto i dazi, e a cui l’Ue ha risposto con la stessa moneta su una serie di prodotti americani (tra cui bourbon e whisky), si teme una escalation. Preoccupazione che ora Federvini ha messo nero su bianco, da quanto apprende WineNews, in una lettera inviata al Presidente del Consiglio Conte, e ai Ministeri dell’Interno, Sviluppo Economico, Politiche Agricole e Affari Esteri. Esprimendo un “grandissimo timore” per le sorti di vino e spirits Ue in Usa, che per l’Italia sono il primo mercato straniero. Mentre la Cina, annuncia il “The Wall Street Journal”, fa sapere che risponderà ai dazi Usa colpendo soprattutto l’agricoltura ... |
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Il tema del “vino naturale” è uno dei più discussi e dibattuti nel mondo di Bacco, ma è anche una strada che molti, da anni, percorrono con convinzione. Come VinNatur, l’associazione fondata da Angiolino Maule nel 2006, che ora punta ad un obiettivo davvero ambizioso: un marchio di garanzia e qualità per il vino naturale a livello mondiale, con un vero e proprio disciplinare e relativo piano dei controlli. Messaggio rilanciato dal Workshop VinNatur, a Lonigo (Vicenza), che ha visto 15 giornalisti, 11 stranieri e 4 italiani, chiamati a valutare alla cieca 216 vini (17 quelli che hanno colpito per equilibrio ed eleganza i giudici). Da cui è emerso un concetto chiaro: la naturalità dei vini è ormai un fatto assodato e implicito, almeno per gli oltre 200 produttori di VinNatur, ora si sta lavorando per ottenere produzioni di altissimo livello. Un concetto sintetizzato nelle parole di Maule: “dopo aver imparato a fare vini salutari, ora dobbiamo imparare a farli più buoni”, ha detto il presidente di VinNatur. Che ha aggiunto: “in questi anni siamo sempre stati abituati a fare i nostri vini e ad assaggiarli tra di noi, pensando che fossero i più buoni del mondo. Era arrivato il momento di aprirci al mondo esterno, di metterci in discussione”. |
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Un calice per assaggiarli tutti. La massima non è di Tolkien, ma di Jancis Robinson, wine critic britannica e Master of Wine, adesso anche firma di una linea di bicchieri: il designer è Richard Brendon, ma l’idea di “1 Collection”, due decanter, una caraffa da acqua, un bicchiere da acqua ed un solo bicchiere da vino, è della wine writer, mossa essenzialmente da un obiettivo: “dare una risposta univoca ad una frustrazione quotidiana”. Un bicchiere “assoluto”, per ogni tipologia di vino, in vendita in esclusiva da Harrod’s. |
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Dietro al mito dello Champagne e di Dom Pérignon ci sono secoli di storia e di storie, come quella che vuole le bollicine francesi nate proprio ad opera dall'abate Dom Pérignon. Ma negli ultimi 28 anni, la firma delle bottiglie di una delle più celebri maison francesi, è stata quella dello Chef de Cave Richard Geoffroy, autore, tra le altre cose, di progetti come quello legato alla “Plenitude” di Dom Perignon, che, a fine 2018, però, lascerà la storica cantina di Epernay. A sostituirlo sarà Vincent Chaperon, che ha lavorato a fianco di Geoffroy per 13 anni e raccoglierà l’eredità della guida di uno dei marchi di punta del gruppo Lvmh. Una notizia che la Maison ha comunicato ufficialmente solo in questi giorni. Ora, il suo futuro, da quanto si apprende, non sarà più nel mondo del vino, se non per qualche speciale progetto di Dom Perignon. |
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Aziende del vino che aprono a terzi il loro capitale ed aziende che chiudono il futuro in cassaforte, legandolo alle nuove generazioni. Come? Attraverso il trust. Che cos’è, come funziona, e che vantaggi porta all’azienda? Lo abbiamo chiesto ad Allegra Antinori, con le sorelle Albiera ed Alessia a capo della Marchesi Antinori. “Il trust per noi è stato l’unico modo per rinsaldare il legame tra famiglia ed azienda, garantendo una continuità di almeno 90 anni”. |
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