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WineNews
N. 2.943 - ore 17:00 - Mercoledì 15 Luglio 2020 - Tiratura: 31.087 enonauti,
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La News
Anche Cameron Diaz vignaiola vip
Fare vino è sempre di più un affare da superstar: nella lunga lista dei vignaioli vip (che ha visto aggiungersi proprio la settimana scorsa anche la cantante Mary J. Blige, col suo Sun Goddess, prodotto in Italia, in Friuli Venezia Giulia, con Fantinel, ndr) entra anche l’attrice americana Cameron Diaz, che, proprio in questi giorni, ha lanciato la sua linea di vini organic, in collaborazione con l’imprenditrice Katherine Power. Due etichette, un bianco spagnolo nella zona del Penedès, ed un rosé francese dalla Provenza. Avaline, l’etichetta, è nata dall’attenzione per la salute e il benessere, che, nel vino, si è tradotta in produzioni vegan-friendly ed organic.
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Primo Piano
L’enoturista contemporaneo? In cerca di “atmosfera” e contatto con le comunità locali
L’enoturista contemporaneo ricerca sì il vino, ma in un’“experience” ben più ampia, oltre le classiche visite in cantina e degustazioni, personalizzata e, soprattutto, unica. Con il “nuovo” enoturismo che registra tendenze che vanno consolidandosi, al di là dell’emergenza Covid (che in alcuni casi ha, caso mai, aiutato a farle emergere): dal contatto con la natura alla riscoperta dei ritmi slow e di un turismo consapevole, dalla percezione della campagna come contesto abbandonato e disagiato ad ambiente idilliaco, sostenibile e lontano dalle masse, al desiderio di contatto culturale con le comunità locali, come dimostrano i viaggi nei piccoli borghi, in cerca di autenticità ed “atmosfera” e con il cibo ed il vino che sono lo strumento più immediato e diretto per stabilirlo. Parola di “Enoturismo: i Consorzi del vino e i territori”, studio dell’Università Bocconi a cura di Magda Antonioli per il Consorzio Tutela del Gavi, secondo il quale, perché l’esperienza funzioni, ci vogliono consapevolezza del valore del proprio patrimonio enogastronomico e cooperazione tra tutti i diversi attori del territorio, con un soggetto forte alla regia, come lo sono i Consorzi delle più importanti Denominazioni del vino italiano. Perché se a livello individuale, ogni azienda deve lavorare sulla propria identità e trasformarla in offerta caratterizzante e distinguibile, a livello di comunicazione e promozione verso l’esterno, e soprattutto l’estero, “da soli si è invisibili” ed è solo grazie alla forza del network che si riesce a far conoscere il proprio prodotto, vinicolo e turistico, sui mercati, italiano e del mondo. Se c’è un’ambasciatrice dell’Italian way of living, nella sua accezione di bello, buono e ben fatto, è l’offerta enogastronomica italiana, asset di primaria importanza per il Belpaese, considerato “il Turismo della ripartenza” nel dopo Covid, con 14 milioni di turisti e un fatturato di 2,5 miliardi di euro. Con i Consorzi che si riconoscono un ruolo da collante (45%) e fanno promozione “diretta” del territorio (35%), in particolare sul web (78%, con l’82% che predilige i social, il 71% i siti, ma anche con un 39% di portali che non funzionano ...), considerando l’enoturismo un’opportunità di diversificazione delle entrate, sia per il mercato domestico (79%) che per quelli esteri (77%), Usa e Germania in primis.
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Cina, il vino via web spopola. Ma non l’Italia
In Cina il 30% delle vendite di vino passa dall’e-commerce. Aspetto che la pandemia ha reso ancora più solido, in un mercato che è sempre più importante per il business enoico, indicato da molti, almeno in era pre-Covid, come prossimo primo consumatore di vino importato. Che l’Italia debba recuperare terreno rispetto ad Australia, Francia e Cile, che dominano, è un altro dato di fatto, confermato, oltre che dai numeri (poco più di 16 milioni di euro di vino esportati tra gennaio e marzo 2020, 133 nel complesso nel 2019, dati Istat), dalla totale assenza di brand e territori del Belpaese tra le posizioni di vertice per presenza tra le referenze dei 50 top retailer di Cina sul web, analizzati da MiBD, guardando ai soli vini rossi, che sono la grande maggioranza del consumo enoico nel Paese, dove dominano francesi, australiani e cileni.
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Focus
Il Covid-19 riaccende i riflettori sulla perdita di gusto e olfatto
Per chi lavora nel vino e nella gastronomia, non solo come critico, ma anche come produttore, enologo, cuoco, perdere gusto ed olfatto è come per un pianista perdere l’uso di mani e dita. Ma proprio la perdita di gusto ed olfatto è uno dei sintomi più conosciuti del Covid-19, ed in questi giorni in cui l’allarme a livello mondiale purtroppo non cessa, è stata l’Union des Œnologues de France ad alzare la guardia in questo senso. Tanto che, riporta “Vitisphere”, gli enologi di Francia hanno lanciato un sondaggio on line per monitorare il fenomeno, a cui hanno risposto 2.000 persone da tutto il mondo, tra produttori di vino, sommelier e addetti ai lavori. Per fortuna, solo il 3% dei rispondenti ha contratto il virus, ma di questi, il 68% ha accusato la perdita del senso del gusto, ed alcuni faticano ancora a recuperarlo. Ma la cosa più curiosa, è che il 14,2% dei sondati ha dichiarato di aver già vissuto momenti di perdita del gusto. Un problema che va oltre il Covid, e più comune di quanto si pensi. “Si stima che tra il 15 e il 20% degli esseri umani abbia una perdita totale o parziale dell’olfatto”, ha spiegato il professor Pierre Bonfils, dell’Ospedale Europeo Georges Pompidou, che ha sottolineato come esistano decine di possibili cause, ma anche come ci siano diversi modi per risolvere il problema.
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Cronaca
In camper, nei territori del vino
Simbolo di un turismo slow, i camper tornano a popolare le strade italiane. Ed il motivo è intuitivo: godere di una vacanza lontano dalla città, a contatto con la natura e nei borghi più belli del Belpaese. Compresi quelli del vino, come Soave, tra le colline vitate Patrimonio dell’Umanità per la Fao, Troia, in Puglia, che dà il nome ad uno dei vini più rappresentativi del tavoliere, il Nero di Troia, Aggius, nel cuore della Gallura, in Sardegna, dove si producono Vermentino e Cannonau, e Gradara, nelle Marche, zona di Colli Pesaresi.
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Wine & Food
Made in Italy agroalimentare: l’82% degli italiani sceglie prodotti del Belpaese
Con l’emergenza coronavirus 8 italiani su 10 (82%) cerca prodotti made in Italy sugli scaffali per sostenere l’economia ed il lavoro del territorio. Il trend emerge dall’indagine Coldiretti/Ixè divulgata in occasione della diffusione dei dati Istat sul commercio al dettaglio a maggio che evidenziano, in valore, un calo del 10,5% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, ed un aumento del +24,3% su aprile. Un “gesto di cuore” per aiutare il settore in un momento difficile ma anche di consapevolezza, visto che in cucina il made in Italy è sinonimo di qualità e sicurezza. L’agroalimentare nazionale è il più “green” d’Europa, con oltre 60.000 aziende agricole bio, e vanta il primato della sicurezza alimentare mondiale, grazie al minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari.
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WineNews.tv
Federico Veronesi, guida di Signorvino: “continuiamo ad investire, crediamo nella ripresa” 
Apre lo store n. 18 a Parma, poi ancora Milano, Roma e non solo. “È un segnale di fiducia, il momento è difficile ma continuiamo ad investire per raccogliere i frutti in futuro. La cosa positiva è che al vino non si è mai rinunciato, neanche in lockdown, ed è un aspetto importante. La ripresa è difficile, soprattutto nelle grandi città che vivono di turismo. Ma guardiamo avanti. Il boom dell’e-commerce? Alla fine resteranno solo i big. Per noi è un servizio al cliente”.
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