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N. 3.191 - ore 17:00 - Venerdì 2 Luglio 2021 - Tiratura: 31.116 enonauti, opinion leader e professionisti del vino |
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Covava sotto la cenere già dal 2013, quando la Croazia è entrata a far parte della Ue. Già allora, il Prosěk, un passito prodotto in Dalmazia, rappresentava un problema, perché il nome evoca immediatamente una delle produzioni più importanti del Belpaese, il Prosecco. Adesso, la Croazia fa sul serio, con l’avvio della procedura di riconoscimento della menzione tradizionale “Prosěk”. Un passo che, come ovvio, ha provocato la levata di scudi italiana, a tutti i livelli, da Paolo De Castro, coordinatore del Gruppo S&D alla Commissione Agricoltura del Parlamento Ue, alla Federvini, con la netta presa di posizione di Albiera Antinori, presidente del Gruppo Vini. |
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Ci sono territori in cui il percorso di “zonazione” è più avanzato, come Barolo e Barbaresco, o Soave, o nel Prosecco Docg per le “Rive”. Altre in cui si è già definito il perimetro, come nel Chianti Classico, con i suoi “Villaggi”, o nel Nobile di Montepulciano, con le “Pievi” (già approvate anche dalla Regione Toscana), e ci si prepara a vedere i nuovi nomi in etichetta, ed altre ancora, dove di zonazione e mappatura se ne parla da qualche tempo, ma dove un percorso concreto e formale è tutto da iniziare, come sull’Etna, con le sue “Contrade”, o a Montalcino. Solo per fare alcuni esempi tra i tanti possibili. Fatto sta che tutto quello che, comunemente, alla francese, semplificando al massimo, si chiama “Cru”, nell’Italia delle già oltre 520 tra Dop e Igp del vino, si declina in varie definizioni. Aggiungendo complessità ad un panorama vinicolo di cui la varietà e la frammentazione, tutti sostengono da tempo, è allo stesso tempo una grande ricchezza, ma anche una grande complicazione a livello comunicativo e commerciale. Soprattutto (e non solo) all’estero, dove spesso finisce oltre il 70-80% del vino prodotto nelle principali denominazioni del vino italiano. Per questo abbiamo chiesto un parere, su questo percorso verso le sottozone del vino italiano, a tre delle firme della critica enoica più ascoltate nel mondo, da Monica Larner, responsabile dall’Italia per “Robert Parker Wine Advocate”, ad Antonio Galloni, direttore di “Vinous”, a James Suckling, seguito, soprattutto, ma non solo, in Asia. Le cui considerazioni, concettualmente tutte positive sul valore potenziale della zonazione delle denominazioni del vino italiano, si diversificano e non poco, poi, su come queste debbano venire realizzate e comunicate, ma anche sull’opportunità di dove farlo o non farlo. E con un tema di fondo importante: capire come tradurre in maniera semplice e comprensibile quello che, per sua natura, semplice non è, come la complessa geografia del vino italiano. Una cui migliore mappatura e definizione, in termine di sottozone, è, comunque, un percorso importante da compiere, soprattutto in alcune denominazioni che puntano a conquistare quegli appassionati più esperti ed esigenti, per i quali sapere da quale vigneto nasce una bottiglia di vino è un grande valore aggiunto (le interviste nell’approfondimento). |
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Nel 2020, il settore alimentare ha registrato una contrazione della crescita dell’1%, comunque minore rispetto al -8,9% dell’economia italiana. Una flessione dovuta principalmente alla contrazione del segmento Horeca e alla riprogrammazione degli investimenti in capacità produttiva, posticipati a fine dell’anno. Il 2021 e 2022, però, segneranno subito una ripresa, con una crescita prevista del 6% annuo, più del Pil italiano (4,5-5%). E la ripresa riguarderà anche l’export che, nel biennio 2021-2022, si prevede in aumento mediamente del 3%. Cresceranno di più i comparti delle farine e del packaging, e caffè e vino, trainati dalla forte ripresa dell’Horeca. Ecco, in sintesi, i risultati del “Food Industry Monitor”, l’Osservatorio dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, in collaborazione con Ceresio Investors. |
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All’enoturismo italiano serviranno almeno due anni per rivedere i numeri 2019, quando, secondo il Rapporto Nazionale sul Turismo del Vino delle Città del Vino le cantine del Belpaese accolsero più di 15 milioni di wine lover, per un fatturato complessivo superiore ai 2,65 miliardi di euro. Poi, la pandemia, che ha precipitato il mondo nella paura, nelle chiusure e nella crisi economica, che ha colpito prima di tutto il turismo, quindi i consumi, anche quelli di vino. Tanto che, per il Rapporto 2020, le Città del Vino hanno preferito un approccio diverso: inutile analizzare numeri irrisori e parziali, legati quasi esclusivamente alla scorsa estate, meglio cercare di capire, attraverso un’analisi puntuale, le prospettive del settore per il futuro prossimo. Il risultato è un quadro complesso, in cui il 46% dei protagonisti dell’enoturismo pensa che le cose torneranno alla normalità nel giro di due anni, e per il 74% ci vuole un piano straordinario di promozione del turismo del vino. E poi, l’accessibilità, in termini di parcheggi, strade, servizi per i disabili, è in cima ai pensieri del 44% degli stakeholder. I punti di forza da cui ripartire? Ricchezza enogastronomica, contesto storico-artistico-culturale, varietà dei territori da visitare (25%) e biodiversità di vitigni e vini (l’analisi completa in approfondimento). |
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Un menu per celebrare uno dei più grandi vini italiani, nel calice ma anche nel piatto, per raccontare la storia del territorio e celebrare il legame tra lo chef ed una delle grandi dinastie del vino piemontese: è il caso peculiare del “Menu del Barolo”, firmato dallo chef Enrico Crippa al Ristorante Piazza Duomo di Alba, legato a doppio filo al territorio e ad una delle grandi famiglie del vino di Langa, come Ceretto, che oggi possiede 170 ettari di vigneti situati nelle aree più pregiate delle Langhe e del Roero, comprese le Docg Barolo e Barbaresco. |
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La spumantistica italiana è avviata a raggiungere 1 miliardo di bottiglie entro i prossimi tre anni, ossia il 33% in più rispetto all’attuale produzione nazionale, di 750 milioni di bottiglie. È il messaggio lanciato oggi al convegno del “Corriere Vinicolo”, il settimanale di Unione Italiana Vini (Uiv) a “Spumantitalia”. Secondo l’Osservatorio del vino Uiv, gli spumanti rappresentano quasi 1/4 del valore delle esportazioni enoiche made in Italy, per 1,5 miliardi di euro nel 2020, per il 69% grazie al “sistema Prosecco”. La crescita media annua negli ultimi 5 anni supera a valore l’8%, nonostante una variazione negativa nel 2020 (-7%). A livello mondiale 1/3 delle bollicine vendute sono di Prosecco, seguite dal Cava (14% dei volumi), dallo Champagne (11%) e dall’Asti. Delle attuali 751 milioni di bottiglie prodotte in tutta Italia nel 2020, l’83% sono Doc o Docg, mentre il 6% sono Igt. |
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“Dobbiamo investire in promozione: sul vino in quanto tale, sui territori come attrattori di turismo, e con un nuovo rapporto tra istituzioni e produttori, che sono quelli che fanno gli investimenti”. Riflessioni di chi guida una Regione in cui il vino è uno degli asset primari (e che nel 2020 ha esportato per un valore superiore ai 972 milioni di euro), in visita ad Ornellaia, uno dei gioielli del vino italiano, del gruppo Frescobaldi, a Bolgheri.
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