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WineNews
N. 2.786 - ore 17:00 - Giovedì 28 Novembre 2019 - Tiratura: 31.087 enonauti,
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La News
L’etichetta “vale” il 64% degli acquisti
L’etichetta e il packaging sono mezzi per posizionarsi e riposizionarsi sui mercati. Anche nel vino, che vive di un’offerta enorme, e la scelta che spesso avviene in pochi secondi. Addirittura, “l’etichetta di un vino è responsabile del 64% delle scelte di acquisto: è di assoluta importanza che “agganci” il consumatore. Una capacità che ha un valore inestimabile. Per sfruttarla al meglio, i produttori devono avere le idee chiare e mettere dei paletti, lasciando grandi margini di libertà ai designer”. A dirlo, a Wine2Wine, è Giles Darwin, direttore di Denomination, agenzia che cura le etichette di realtà come Penfold’s e Taylor’s.
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Primo Piano
Climate change: l’impatto “pratico” sul vino, i costi, le prospettive future
Il cambiamento climatico è un tema all’ordine del giorno, anche nel mondo del vino. E sull’impatto pratico, anche economico, del global warming, si è concentrato parte del Prowein Business Report 2019, presentato nei giorni scorsi all’Università di Geisenheim. Secondo il report, sono già 5 anni che il cambiamento climatico si fa concretamente percepire: dai piccoli produttori in primis, ma anche da cooperative, grandi cantine, fino al commercio, ma per motivi diversi. Se i produttori fanno i conti con le conseguenze agricole ed enologiche (vendemmie scarse e variabili e ridotte nel tempo, stress idrico, maggior pressione patogena, investimenti su nuove varietà), gli altri attori devono affrontare la volatilità del prezzo, della quantità e della qualità del vino. Inoltre, se cambia il clima cambia, ovviamente, la reazione della pianta e di conseguenza anche il vino. Per quanto riguarda la qualità, oltre il 50% dei partecipanti al report ha confermato un cambiamento sensoriale del prodotto finale e questo ha indotto molte aziende a usare tecnologie e prodotti enologici per mitigarne gli effetti. Per quanto riguarda la quantità, la variabilità di vino disponibile impatta soprattutto sulle grandi aziende (48%) e sugli esportatori (32%), come anche la volatilità del prezzo (53% delle grandi aziende e il 50% degli esportatori, compresi i commercianti per il 45%). Questo, in un contesto di erosione del prezzo dovuto ad anni di sovrapproduzione rispetto ad una richiesta di consumo costante se non in diminuzione, che ha ridotto il profitto del 53% delle cooperative e del 44% di grandi aziende e imbottigliatori. Una nota dolente per le imprese: meno profitto significa meno disponibilità finanziaria a investimenti atti a mitigare l’impatto della crisi climatica. Il futuro? Aumenta la richiesta di prodotti fitosanitari e di vitigni resistenti, mentre le aziende dicono di puntare, tra le altre cose, sulla revisione delle pratiche enologiche. Tutto questo in un contesto in cui, emerge dello studio, i consumatori chiedono vini sempre più leggeri ed eleganti, in totale controtendenza, in generale rispetto ai risultati in vigna. E così, non è difficile immaginare che tra le tante contromisure possibile, ci sia anche un importante cambiamento nei disciplinari di produzione.
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Il vino ed il legame tra Italia e Australia 
Oggi l’Australia è uno dei principali esportatori di vino nel mondo, specie verso Cina, Stati Uniti e Regno Unito, per un valore complessivo delle spedizioni pari a 1,8 miliardi di euro nel 2018 (+3,13%). Ma è anche un Paese di importazione, e l’Italia si sta ricavando il suo spazio, con un export che vale 62,5 milioni di euro (11,8% del totale). Anche grazie all’immigrazione, alla fine del 18esimo secolo, nel Paese è arrivata la viticoltura, e oggi sono tante le varietà italiane coltivate, come Barbera, Nebbiolo, Sagrantino, Sangiovese, Vermentino, e non solo. E forse, anche grazie ad una certa familiarità proprio con i vitigni italiani, la Terra dei Canguri può diventare un mercato sempre più florido per l’Italia del vino, soprattutto nel segmento premium. Riflessioni che arrivano dalla tappa di Sidney, nei giorni scorsi, del Simply Italian Great Wines Tour firmato Iem.
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Focus
La Brexit si avvicina: scenari possibili per il vino
“Meglio essere pronti al peggio per affrontarlo, e se scamperemo il “No Deal”, tanto meglio”: è tutto all’insegna del pragmatismo l’approccio alla incertissima Brexit secondo Miles Beale, direttore generale del Wine and Spirit Trade Association (Wsta) in Uk, che sul palco di Wine2Wine, a Verona, ha portato la visione della sua associazione, la più grande e influente del Regno Unito a tutela di tutte le figure del settore, preoccupate al pari dei produttori di vino che esportano nel Paese. Che, per l’Italia, rappresenta il terzo mercato in assoluto per importanza, in valori e volumi. La paura di complicazioni e nuovi dazi, ha portato, nei mesi scorsi, ad una corsa alle scorte, e sono aumentate anche le truffe a danno dei produttori, ha raccontato Margherita Zanelli dell'Ice di Londra, che sottolinea, però che “la Brexit è diventata uno spauracchio eccessivo”. Conferma Beale: “in Uk importiamo il 98% del vino che consumiamo e quello italiano vale il 20% del totale”. Impensabile che improvvisamente si chiuda la porta tra Londra e Roma. Il 12 dicembre, comunque, con il voto del Parlamento Uk se ne saprà di più. In caso di “No Deal”, “probabilmente i volumi caleranno e il valore crescerà nell’off trade, e si andrà incontro ad uno spazio di mercato ridotto e sempre più competitivo”. Ma è solo la peggiore delle ipotesi.
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Cronaca
Se Amazon “imbottiglia” il vino
In giorni di “black friday”, fioccano anche le promozioni sul vino. E, tra queste, desta attenzione quella di Amazon, che ha lanciato i suoi vini private label. La linea enoica del colosso di Jeff Bezos, si chiama Compass Road, e propone cinque etichette, tra cui un Pinot Grigio Garda Doc, un Grenache, uno Chardonnay ed un Merlot tutti francesi, ed un Riesling tedesco. Non un debutto assoluto: Amazon aveva già dato vita ad una linea di etichette, “Next”, nel 2017, in partnerhisp con la cantina americana King Estate. Ma questo sembra un passo più concreto.
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Wine & Food
Vino italiano ed export: nei primi 8 mesi del 2019 crescita del +2,4%, a 4,1 miliardi di euro
Se le proiezioni di Vinitaly e Nomisma Wine Monitor parlano, per la chiusura 2019, di un export di vino italiano che toccherà i 6,3 miliardi di euro (+2,9%, con analisi sui dati doganali), allo stato attuale, il dato consolidato dice che il Belpaese, nei primi 8 mesi 2019, ha esportato vini e mosti per 4,1 miliardi di euro, in crescita del 2,4% sullo stesso periodo 2018. Con i vini Dop a quota 1,6 miliardi di euro, in crescita del 9%, gli Igp a 815 milioni di euro, in calo del -7%, e gli spumanti sempre in trend positivo, +4%, a 916 milioni di euro. Così le elaborazioni di Federvini su dati Istat relativi a gennaio-agosto 2019. Gli Usa si confermano il primo mercato di destinazione con un valore di poco inferiore ad 1 miliardo di euro (+3%), seguito dalla Germania con 683 milioni di euro (+3%) e dal Regno Unito dove emerge un rallentamento (-4%), per 463,5 milioni di euro.
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WineNews.tv
“Il cervello della vite sono le radici, da qui si deve ripartire”: così il professor Attilio Scienza
Tra ricerca scientifica, storia, rapporto tra accademia ed imprese, parla l'autore del libro “Vinifera” per Assoenologi. “Lo avevano capitò già i Greci, che pensavano alla vite come un uomo rovesciato con la testa sotto terra ed il corpo fuori. È su questo che dobbiamo concentrarci”. Ripartendo dalle difficoltà del climate change, e consapevoli che si può sempre andare avanti. “Pensiamo alla fillossera: allora fu un disastro, ma ha dato il via alla rivoluzione della viticoltura moderna”.
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