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WineNews
N. 2.730 - ore 17:00 - Martedì 10 Settembre 2019 - Tiratura: 31.087 enonauti,
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La News
Francia, il vino “tira” ancora
Il paragone tra la Francia di oggi e quella del 1935, quando i consumi di vino pro capite raggiungevano i 160 litri all’anno, o quella del 1965, quando comunque un adulto beveva in media 105 litri di vino, può apparire impietoso, ma nonostante il crollo verticale dei consumi enoici, arrivati nel 2018 a 56 litri, resta il terzo consumatore mondiale, con più di 2 miliardi di litri bevuti dai 39 milioni di consumatori del Paese, dietro a Italia e Stati Uniti, ma anche il terzo più attraente secondo il “Compass Market Attractiveness Model” 2019 di Wine Intelligence, che ha firmato anche l’ultimo’ “France Landscapes” 2019.
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Primo Piano
Da 900 milioni a 6 miliardi di euro di export: 30 anni di “Rinascimento” del vino italiano
Correva l’anno 1982, l’Italia di Enzo Bearzot e Paolo Rossi vinceva il “Mundial” in Spagna, mentre un giornalista americano, Burton Anderson, pubblicava “Vino. The Wines & Winemakers of Italy”, di fatto il primo libro di caratura internazionale che puntò la luce dei mercati internazionali, Usa e Uk in testa, ma non solo, su un’Italia del vino che era un’illustre sconosciuta, allora, e che trainata da poche grande famiglie del vino e da qualche artigiano, iniziava la sua rivoluzione, o meglio il suo “Rinascimento” enoico, che l’avrebbe portata, in 30 anni, ad essere uno dei paesi leader sui mercati di tutto il mondo. Un contributo fondamentale, quello di Anderson, premiato oggi a Palazzo Antinori dall’Istituto Grandi Marchi (che mette insieme 19 delle cantine più prestigiose del Belpaese), in un incontro, moderato da Daniele Cernilli, diviso tra ricordi e prospettive. Di quanto sia cambiato il vino italiano, “prima di tutto grazie al fatto di aver puntato sulla qualità”, hanno detto ad una voce produttori che il “Rinascimento” del vino l’hanno vissuto da protagonisti, da Piero Antinori, alla guida della Marchesi Antinori, a “Mr Amarone” Sandro Boscaini (Masi Agricola) ad Angelo Gaja, lo dicono i numeri. A fronte di consumi pressoché invariati a livello mondiale (240 milioni di ettolitri alla fine degli anni ‘80, 246 nel 2018), l’Italia è passata da 12,6 a 19,5 milioni di ettolitri esportati, e soprattutto da 919 milioni di euro (dato al 1991) ad oltre 6,2 miliardi di euro in valore, cambiando non solo le quantità, ma la composizione del suo export, come ha spiegato Denis Pantini (Nomisma): “alla fine degli anni Ottanta praticamente l’Italia esportava un terzo di quello che consumava internamente, mentre ora da diversi anni su due bottiglie prodotte una va all’estero. Fino a 30 anni fa, inoltre, più della metà del nostro export era legato al vino sfuso, mentre oggi quest’ultimo pesa solo il 20% in quantità, ed il 5% in valore. Per quanto riguarda infine i mercati di destinazione, se un tempo per l’Italia l’area comunitaria era la prima destinazione, con la Germania a fare la parte del leone, ormai il baricentro si è decisamente spostato su altri mercati, Stati Uniti in testa, dove il nostro Paese ha registrato un plus del 230% nelle quantità di vino complessivamente esportate dal 1990 al 2018”.
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Quanto lavoro nell’agroalimentare
Dal campo alla tavola, il settore agroalimentare è, letteralmente, un mondo di possibilità, specie per i giovani in cerca di lavoro, con il livello di disoccupazione degli under 24 italiani stabilmente sopra al 30%. L’agricoltura è tornata ad essere un settore strategico per la ripresa economica ed occupazionale, con l’Italia ai vertici in Europa, con ben 57.621 imprese guidate dagli under 35 nel 2018 (+4,1% sul 2017). Passando, appunto, dal campo alla tavola, le imprese dell’alimentare del Belpaese stimano invece un fabbisogno occupazionale di 43.540 unità nei prossimi 5 anni, trovando grosse difficoltà a trovare profili adatti. Numeri che raccontano di un’emergenza ancora più significativa, se si pensa che l’intero export italiano supererà i 540 miliardi di euro nel 2022, dopo un 2018 al +3,1%, una previsione del +3,4% per il 2019, e di un +4,3% medio nel triennio 2020-2022.
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Focus
Piero Antinori: “dobbiamo lavorare sui valori”
“Sono ottimista per il futuro del vino italiano, perché abbiamo fatto passi da gigante, ma ancora non siamo arrivati all’obiettivo finale. C’è sempre da migliorare, sia dal punto di vista qualitativo, sia della valorizzazione del nostro prodotto, soprattutto sui mercati esteri, ma anche su quelli emergenti, come la Cina”. È il pensiero di Piero Antinori, alla guida della Marchesi Antinori, la cantina che, a detta di molti, ha segnato più di tutti gli ultimi 30 anni della storia del vino italiano, quel “Rinascimento” enoico che ha portato il vino del Belpaese da essere visto come prodotto di basso prezzo e di bassa qualità, a bere d’eccellenza, al vertice in tanti mercati del mondo. “È stato un periodo breve, ma anche un processo graduale, dato da tanti fattori - spiega a WineNews Piero Antinori - primo tra tutti il miglioramento qualitativo dei nostri prodotti, perché alla base di tutto c’è sempre la qualità”. Ora, però, si deve lavorare sui valori. Una sfida, quella del posizionamento di prezzo che, secondo Antinori, è una delle più importanti per il futuro prossimo del vino italiano, e su cui i margini sono ancora importanti, se si pensa che in Usa, mercato di riferimento del Belpaese enoico, il valore di un litro di vino italiano esportato è di 5,8 dollari, mentre la Francia è a 9,6 dollari (dati Nomisma).
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Cronaca
Ue, il polacco Wojciechowski all’Agricoltura
Niente Agricoltura, l’ex presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni, indicato dal Governo di Roma solo qualche giorno fa come il nome giusto per l’Italia sarà commissario agli Affari Economici nel nuovo esecutivo Ue guidato da Ursula von der Leyen. Una nomina importante, con la Commissione Agricoltura che sarà invece presieduta dal polacco Janusz Wojciechowski, che succede così a Phil Hogan, passato al Commercio, che è comunque un’ottima notizia per il mondo agricolo della Vecchia Europa.
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Wine & Food
L’America pazza per la cucina italiana: al top mozzarella di bufala, pasta fresca e gorgonzola
Altro che pizza, l’America va pazza per la mozzarella di bufala (47,5%), ma anche per la pasta fresca (38,5%) e il gorgonzola (39,3%): sono questi i tre prodotti simbolo dell’eccellenza gastronomica italiana nel mondo, che hanno conquistato gli influencer del food & wine di Stati Uniti, Canada e Messico. A dirlo è l’indagine finanziata dal Ministero dello Sviluppo Economico “True Italian Taste”, realizzata da Assocamerestero, e che vuole promuovere la conoscenza del vero made in Italy agroalimentare all’estero, per contrastare l’italian sounding. Più in generale, le scelte operate dagli influencer sono spesso frutto di una loro conoscenza diretta del Belpaese: dall’analisi risulta infatti che oltre l’87% del campione è stato in Italia almeno una volta e sia poi diventato un “italian food lover”.
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La vigna simbolo di pace, più forte delle divisioni tra religioni e culture: la storia di Cremisan
Tra Betlemme e Gerusalemme un progetto culturale curato dai Salesiani, dove il vino nasce dal lavoro, in armonia, di popoli diversi, di religiosi e laici. E in una terra dove religione e storia, ancora, dividono, i filari diventano presidio di pace e fratellanza.
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