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N. 4.035 - ore 17:00 - Mercoledì 28 Agosto 2024 - Tiratura: 31.289 enonauti, opinion leader e professionisti del vino | |
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| | | Dopo il boom del periodo Covid, continua a crescere, lentamente, l’e-commerce di vino. Nel 2024 la previsione è di raggiungere i 6,1 miliardi di dollari di fatturato, per “Statista”, secondo cui nel 2029 il business toccherà i 7,56 miliardi di dollari (+4,2% all’anno), grazie a 327,8 milioni di utenti di questo peculiare canale di mercato. Che resta una nicchia, ovviamente, con un tasso di penetrazione del 3,7% nel 2024, che dovrebbe arrivare al 4,5% nel 2029. E con il mercato degli Stati Uniti assolutamente leader a livello mondiale, con un giro d’affari di oltre un terzo del totale dell’e-commerce enoico, pari a 2,8 miliardi stimati nel 2024. | |
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| | La qualità dei vini italiani è ormai riconosciuta, in tutto il mondo, di livello elevatissimo, e non inferiore a quella di nessun altro Paese produttore. Ma la sfida del valore, per il Belpaese, è ancora tutta da vincere, perché i prezzi dei vini italiani che vanno nei mercati del mondo sono ancora troppo bassi, rispetto a quelli di tanti competitor. Un tema di cui i produttori stessi sono consapevoli, ma sul quale non è facile lavorare, al netto di un calo dei consumi a livello mondiale che rende ancora più difficile, per quanto inevitabile, lavorare sul posizionamento. Tema ancora più delicato se si guarda ai vini fermi, la tipologia che soffre di più, ma che ancora rappresenta i due terzi delle spedizioni di vino italiano nel mondo. E proprio sul valore dei vini fermi imbottigliati esportati (dato 2022) si concentra l’analisi dell’American Association of Wine Economists, che mostra un divario ampio tra l’Italia e la Francia (distanza che sarebbe ancora più grande se nella comparazione ci fossero anche le bollicine, visto il peso economico dello Champagne), ma non solo. Secondo i dati Comtrade, analizzati dagli economisti del vino americani, il primato assoluto in valore unitario spetta agli Usa, con un valore di 8,43 dollari al litro, ed un podio completato dalla Francia, con 7,67 dollari al litro, e dalla Nuova Zelanda, con 6,12. L’Italia non vince neanche la “medaglia di legno”, per usare un gergo olimpico, visto che al quarto posto c’è l’Australia, a 4,67 dollari, e solo al quinto posto viene il Belpaese, con, in media, 4,54 dollari al litro. Poco più dei vini d’Austria, a 4,21 dollari al litro, e della Grecia, con 4,01 euro al litro, ed una top 10 chiusa da Argentina (3,86 dollari al litro), Portogallo (3,57) e Germania (3,43). Dati, come quelli di tutte le statistiche aggregate, da prendere come indicazioni di massima al netto di tanti fattori, dalle quantità e dalle tipologie di prodotto esportate alle diverse condizioni doganali nei mercati di riferimento per ogni Paese esportatore. Ma che fanno comunque riflettere, ancora una volta, sul fatto che ad una qualità elevatissima ormai universalmente riconosciuta a tanti vini italiani, non corrisponda un valore economico che, invece, viene accettato dal mercato e dai consumatori per le produzioni di altri Paesi. | |
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| | Spesso chi lavora nel mondo del turismo non ha timore di esprimere le difficoltà economiche che il settore attraversa. Perché, oltre a quello che si vede nello scontrino, e che può portare a fare delle valutazioni da parte del consumatore su quanto è “caro” o meno un esercizio commerciale, dietro c’è molto di più, tra spese, bollette, stipendi da pagare. E per le imprese non sono tutte “rose e fiori”. A partire dalla fine del 2022, il tasso di default del settore si è mantenuto stabile intorno al 4%, evidenziando una rischiosità del comparto superiore alla media delle società di capitali italiane (2,6%), secondo l’analisi dello studio Crif (in approfondimento). Lo studio per micro-settori evidenzia un trend eterogeneo, con la ristorazione/bar che registra la maggiore rischiosità di credito, con un tasso di default di circa il 5%. | |
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| | | L’unione fa la forza, e la logica di distretto è sempre più importante, e vincente, in un mondo complesso, competitivo, e che vede le imprese, soprattutto quelle più piccole, obbligate a fare sinergia per abbattere costi e non solo. Ed è per questo che la logica dei distretti industriali e dei sistemi produttivi locali è sempre più importante. Con l’agroalimentare che è il settore più rappresentato (con una quota del 35%, e tanti territori del vino protagonisti) tra i 127 distretti industriali ed i 124 sistemi produttivi locali (Spl) italiani mappati dall’Area Studi Mediobanca. La principale specializzazione produttiva è rappresentata dall’alimentare (35%) a cui segue il Sistema Moda (30%). In particolare, nel 2022 sono 1.649 le medie imprese situate nei distretti industriali e nei Spl. Ed hanno generato un fatturato complessivo di 80 miliardi di euro, di cui 3 derivanti dalle esportazioni, e hanno occupato circa 200.000 risorse, spiega una nota di Mediobanca. Con l’agroalimentare che conta 20 distretti veri e propri (il 16% del totale dei distretti, capaci di generare il 10,1% del fatturato distrettuale, dove il settore che domina è quello della meccanica, con il 59,1%), mentre tra i sistemi produttivi locali (Spl), l’agroalimentare pesa per il 31% del fatturato della categoria, ancora dietro alla meccanica. | |
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| | | Per celebrare il made in Italy, “in casa sua”, e per beneficenza: ecco il senso di “Ferrari F1 Gran Premio d’Italia Jeroboam”, una speciale bottiglia realizzata appositamente (in soli 8 esemplari, non destinati alla vendita) per la gara che sarà di scena a Monza il 1 settembre, da Ferrari Trento, cantina simbolo del Trentodoc e brindisi ufficiale della Formula1. E una bottiglia, firmata dai piloti sul podio, sarà messa all’asta su “F1 Authentics” a favore di “Make-A-Wish International”, che aiuta a soddisfare i desideri dei bambini gravemente malati. | |
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| | Ci saranno per la prima volta dieci Paesi, di cui alcuni in guerra tra loro - Russia, Ucraina, Cina, Israele, Palestina, Eritrea, Tunisia, Marocco, Italia e la squadra di Medici senza Frontiere - a gareggiare, in nome della pace, al “Cous Cous Fest” 2024, edizione n. 27 a San Vito Lo Capo (20-29 settembre), con il Campionato del mondo di cous cous, cuore del Festival, che mette a confronto chef internazionali in segno dello scambio tra culture (ad assaggiare i piatti ci saranno due giurie: una tecnica guidata dall’imprenditore Oscar Farinetti, e una popolare). Alla luce della situazione storica che stiamo vivendo, il Festival, che porta avanti da sempre il tema dell’integrazione tra popoli e culture, intende lanciare, ancor più quest’anno, un messaggio di unione e condivisione, sottolineato dallo slogan “Grains of Peace” (granelli di pace). | |
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| | | Le riflessioni sul tema di Stefano Lorenzi, arboricoltore ed esperto della sinergia tra gli alberi, i boschi e la vite, che tanti stanno riscoprendo. “La vicinanza di alberi, boschi e cespugli intorno alle vigne, ma anche tra i filari, aiuta a combattere il riscaldamento climatico ed i fenomeni estremi, a gestire la fauna selvatica, a preservare la biodiversità dell’ambiente e del suolo, e a fare vini di miglior qualità. E molte aziende stanno tornando ad investirci”. | |
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