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N. 2.765 - ore 17:00 - Martedì 29 Ottobre 2019 - Tiratura: 31.087 enonauti, opinion leader e professionisti del vino |
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Per il vino italiano, che basa la sua struttura sul sistema delle denominazioni, l’appartenenza di un’etichetta ad una Dop o ad una Igp è, sicuramente, un valore aggiunto. Come lo è, di per sé, il “brand” Italia. Eppure, alcuni dei più grandi vini del Belpaese, soprattutto quelli che vanno più forte sul mercato degli investimenti e delle aste, nomi come Gaja, Sassicaia o Masseto, per esempio, hanno marchi talmente forti da andare oltre al territorio e all’Italia, riconoscibili al punto tale da fare quasi “ombra” al brand delle proprie denominazioni, o del Belpaese stesso. È una delle riflessioni, a WineNews, di Tom Hiland, storica firma enoica di “Forbes”. |
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L’Italia del vino, dopo anni di leadership quasi incontrastata sul mercato Usa, che rappresenta oltre un quarto delle spedizioni enoiche tricolori, sta vivendo in questi primi mesi del 2019 un periodo di appannamento, crescendo a ritmi decisamente inferiori di quelli dei propri competitor, specie della Francia. Non c’è da preoccuparsi oltre il dovuto, ma il momento apre necessariamente a qualche riflessione sullo “spazio” che occupa il vino italiano. Innanzitutto quello geografico, ancora limitato alle piazze più consolidate, come New York, e poi quello sullo scaffale, dove il Belpaese è ancora legato al ruolo centrale delle denominazioni e dei territori più conosciuti, con i più piccoli e gli emergenti, che pure avrebbero le carte in regola per sfondare, che fanno ancora fatica. Dalla tappa di Seattle, nello Stato di Washington, che ha chiuso lo U.S. Tour del Simply Italian Great Wines firmato dalla Iem, ne abbiamo parlato con Gioia Morena Gatti, responsabile Agroalimentare e Vino dell’Ice di New York, che non nega qualche difficoltà. “C’è tanto da fare, perché la varietà del nostro patrimonio vitivinicolo non è ancora nota a gran parte dei consumatori americani, specie negli Stati interni, come la Pennsylvania, il Colorado, lo Stato di Washington, che ci stiamo dedicando ad esplorare con attività di formazione e con eventi di promozione”. Con l’obiettivo di creare possibilità nuove anche per le denominazioni meno in vista, sempre tenendo a mente che, come ricorda Marina Nedic, alla guida della Iem, “ogni Stato Usa è diverso dall’altro, e la provincia americana in questo senso andrebbe presidiata, con gli sforzi di aziende ed istituzioni. L’americano è un consumatore curioso e facoltoso, e quando guarda all’Europa rimane colpito dal vino italiano, capace di esprimere tutta la ricchezza storica e culturale dell’Italia attraverso la diversità dei suoi vini”. Sullo sfondo, restano i dazi che, per Riccardo Ricci Curbastro, a capo della Federdoc, “sono la punta dell’iceberg di una serie di contenziosi tra Usa ed Europa. Ma noi dobbiamo ricominciare a guardare agli Stati Uniti come ad una terra di missione, non basta fermarsi a New York, diventa più interessante e divertente andare a vendere a Kansas City, raccontando le nostre storie e la nostra diversità”. |
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La green economy è stata, in questi anni difficili, la migliore risposta alla crisi: la spinta per la qualità e la bellezza, la coesione sociale, naturali alleate dell’uso efficiente di energia e materia, dell’innovazione, dell’high-tech hanno spinto ad investire in questa direzione 300.000 aziende nel 2019, con il numero dei green jobs che in Italia ha ormai superato la soglia dei 3,1 milioni, il 13,4% del totale dell’occupazione complessiva. Ecco il decimo Rapporto GreenItaly della Fondazione Symbola, guidata da Ermete Realacci, che a WineNews racconta “la metafora più efficace di quello che è l’incrocio, molto italiano, tra green economy e legame con i territori, che è la storia del vino, che per primo ha vissuto il passaggio in cui la qualità, la bellezza, l’innovazione hanno preso il posto della quantità, riducendo anche l’impatto ambientale”. |
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Con la crescita della cultura enoica da parte degli appassionati, e con l’evoluzione della figura del sommelier, sempre più “narratore” del vino, il nettare di Bacco nell’alta ristorazione sta vivendo una sorta di nuova “golden age”. A dirlo, a WineNews, nel lancio della guida “I Ristoranti d’Italia” 2020 del Gambero Rosso, alcuni dei top sommelier del Belpaese, da Vincenzo Donatiello (Piazza Duomo) a Marco Reitano (La Pergola del Rome Cavalieri) da Gianni Sinesi (Ristorante Reale) a Matteo Zappile (Il Pagliaccio). C’è chi, come Donatiello, sottolinea come “il cliente ha più cultura e più preparazione, una volta era impensabile che nelle grandi carte internazionali si ponesse attenzione sulle regioni meno conosciute, ora è il valore aggiunto”. “Il pubblico beve e vuole bere bene - racconta Reitano - e le carte del vino offrono una articolazione che prima non c’era”. “Oggi i vini si possono raccontare con una capacità differente rispetto a quindici anni fa, e nei ristoranti è molto più facile vendere e gestire il vino”, aggiunge Zappile. “Sta cambiando molto l’approccio alla figura: da sommelier a manager della ristorazione. Oggi si va ben oltre il grande servizio al tavolo, verso una figura sempre più manageriale”, e che sempre più spesso fa anche consulenze esterne, comunicazione e non solo, ha aggiunto Sinesi. |
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Quando Caterina de’ Medici partì dalla sua Firenze per andare in Francia, dove sarebbe diventata Regina, portò con sé cuochi e pasticceri fiorentini, toscani e siciliani, destinati a fare scuola ed a portare la cucina francese fuori dal Medioevo. Dalle salse al sorbetto, tanti sono i piatti, e le tecniche, che gli storici fanno risalire alla sovrana, che Firenze ha celebrato, nei cinquecento anni dalla nascita, con la riproposizione del banchetto di nozze che accompagnò il suo matrimonio con Enrico di Valois il 28 ottobre 1533. |
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In Italia si mangia sempre più spesso fuori casa. E secondo molti, la cucina domestica delle mamme e delle nonne, rischia, pian piano, di diventare un ricordo. Per salvarla, “la ricetta” è guardare avanti, innovare la tradizione e renderla attuale. È la riflessione del convegno “... E l’arte di mangiar bene”, nei giorni scorsi, a Venezia, nel festival NutriMenti dell’Alta Scuola di Gastronomia Luigi Veronelli. A fare da provocatore Alberto Capatti, tra i principali storici della gastronomia italiana: “la cucina domestica è morta. Per allungarne la vita, immaginiamo un futuro, con una cucina globale dalle mille diramazioni, con prodotti cucinati non si sa dove per non si sa chi, cioè per tutti. Fuori le nonne dalla cucina, entrino i giovani con le loro nuove ricette di uova al tegamino!”. Una sorta di “manifesto futurista” della nuova cucina di casa. |
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La rivoluzione digitale ha messo i social media al centro della comunicazione: a WineNews le parole dei relatori Francesco Mattucci, influencer e co-founder di GarageRaw e Adua Villa, fondatrice del blog Globetrotter Gourmet. Roberta Corrà, dg del Gruppo Italiano Vini, ed Ettore Nicoletto, ad di Santa Margherita Gruppo Vinicolo, raccontano come il mondo delle aziende del vino sia legato ad un vecchio linguaggio, troppo rivolto ad un pubblico specializzato. |
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