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WineNews
N. 3.278 - ore 17:00 - Mercoledì 27 Ottobre 2021 - Tiratura: 31.116 enonauti,
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La News
Pecchenino assolto con formula piena
Assolto con formula piena, perchè il fatto non sussiste. Si chiude così, con la sentenza della Corte di Appello di Torino, la vicenda che ha coinvolto Orlando Pecchenino, alla guida di una delle realtà storiche delle Langhe, a conduzione familiare fin dalla fine del Settecento, quando è nata. Colpito, nel 2016, da un accusa grave, nel mondo del vino, quello dell’imbottigliamento fuori zona per una Docg prestigiosa come il Barolo, soprattutto per chi, come lo stesso Pecchenino, all’epoca era presidente del Consorzio di Barolo e Barbaresco. “È una grande soddisfazione, ma nessuno ripagherà mai il danno”, scrive Pecchenino a WineNews (nell’approfondimento).
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Primo Piano
Antinori e Gaja, “Wine Stars” del vino italiano, protagonisti in “New York Wine Experience”
In un panorama del vino italiano le cui opinioni si dividono spesso, quasi su tutto, sono pochissime le figure di rilievo il cui prestigio e autorevolezza, supportate dai fatti, mettono d’accordo tutti, o almeno i più. Tra queste, in testa, ci sono due personaggi, su tutti, riconosciuti pionieri e apripista per il vino italiano nei mercati del mondo, quando non godeva del prestigio di oggi. Uno è Piero Antinori, espressione della nobiltà del vino italiano, erede di una storia familiare che, nel vino, è iniziata nel 1385 a Firenze, ma che sotto il suo decisivo impulso è diventata quella di una delle imprese del vino italiano più importanti in assoluto (oggi guidata dalle figlie Albiera, Allegra ed Alessia, e dall’ad Renzo Cotarella). L’altro è Angelo Gaja, testimone di quella borghesia moderna che ha fatto grandi le Langhe, difensore e simbolo degli artigiani del vino, che ha fatto della cantina di Barbaresco oggi guidata dai figli Gaia, Rossana e Giovanni, uno dei riferimenti qualitativi del vino mondiale. Tra le tante testimonianze e racconti sul loro ruolo, una è la “Top 100” della rivista Usa “Wine Spectator”. Nel 1988, anno della prima edizione, Gaja era il produttore italiano più rappresentato, con ben quattro etichette, Antinori il solo altro con più di un vino premiato, con due. Ancora, Gaja, nel 1993, è stato il primo a portare un vino italiano sul podio, al n. 2, con il Barolo Sperss 1988, mentre Antinori, nel 2000, fu il primo a conquistare il n. 1 assoluto, con il Solaia 1997. Curiosità, che raccontano qualcosa del perchè Piero Antinori e Angelo Gaja (tra i pochissimi produttori italiani a finire nella copertina di “Wine Spectator”, ndr), siano stati, nei giorni scorsi, tra le “Wine Stars” della “New York Wine Experience”, in quello che è ritenuto il più importante evento di promozione del vino in America. Dove Piero Antinori, riporta “Wine Spectator”, ha sottolineato come, nella lunghissima storia del vino italiano che la sua famiglia ha attraversato, “l’ultimo mezzo secolo è stato il più eccitante”, perchè è stato quello in cui il focus si è spostato dalla quantità alla qualità. “Ho 81 anni, e quello che dico ai miei figli è di essere capaci di pensare diversamente ... e di avere passione in quello che fanno”, ha detto, invece, Angelo Gaja. Riflessioni ed esperienze di due personaggi a cui il vino italiano deve davvero molto.
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Saint-Émilion, condanna per de Boüard
60.000 euro di multa, per aver abusato della propria posizione, favorendo produttori amici, quando, nel 2012, fu aggiornata la classificazione di Saint-Émilion: è la sentenza con cui il giudice Denis Roucou, presidente della quarta camera del Tribunale Giudiziario di Bordeaux, ha, di fatto, condannato Hubert de Boüard de Laforest, comproprietario del celebre Château Angélus, assolvendo invece Philippe Castéja, négociant di primo piano e proprietario di Château Trotte Vieille. Punito, così, il conflitto di interessi che ha caratterizzato l’opera del proprietario di Château Angélus, all’epoca membro del Comitato Nazionale del Vino dell’Inao e dell’Organizzazione per la Difesa e la Gestione (Odg) dei vini di Saint-Emilion, che decisero la promozione di Angélus da Grand Cru Classé B ad A.
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Focus
L’agroalimentare made in Italy supera la prova Covid
Ad un anno dallo scoppio della pandemia l’agroalimentare made in Italy supera la prova Covid: nel 2020 vale 522 miliardi di euro, pari al 15% del Pil italiano. Un comparto strategico per il sistema Paese, che coinvolge 740.000 aziende, oltre 330.000 realtà nella ristorazione, 230.000 punti vendita al dettaglio, 70.000 industrie alimentari e 4 milioni di lavoratori. È emerso dal Seminario n. 10 “Food, Wine & Co. Food sustainability. Dal marketing al prodotto, ai territori e alle persone d’eccellenza” del Master in Economia e Management della Comunicazione e dei Media dell’Università di Roma Tor Vergata, diretto dalla professoressa Simonetta Pattuglia, che ha sottolineato come il lockdown ha accelerato fenomeni quali la digitalizzazione e fatto crescere in modo esponenziale il delivery, per un giro d’affari nel 2020 di 706 milioni di euro (+19% sul 2019). Tra i mega-trend del food italiano, 1 consumatore su 2 nel 2020 ha scelto un’alimentazione più sana, prediligendo cibi bio e con più attenzione a wellness, salute e prevenzione. Il cibo del futuro? È plant-based: si stima, infatti, che il consumo di prodotti a base vegetale crescerà del 20% entro il 2024. Ma la chiave per restare competitivi è la sostenibilità, con sempre più prodotti che ne riportano un claim in etichetta, per un giro d’affari oltre i 10 miliardi di euro. 
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Cronaca
Salcheto, 10 anni di sostenibilità
In 10 anni, sono stati risparmiati 1,1 milione di kWh ed oltre 2,3 milioni di kg di emissioni di CO2eq evitate, l’equivalente di una piantumazione ex novo di 3.300 alberi durante il loro ciclo di vita. Numeri che, in estrema sintesi, raccontano la prima decade di vita di Salcheto, la prima cantina off-grid d’Italia, inaugurata nel 2011 da Michele Manelli, in terra di Nobile di Montepulciano. Prima ad essere autosufficiente a livello energetico, pioniera di sostenibilità ambientale e sociale, e motore di un cambiamento che ha coinvolto il territorio e non solo.
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Wine & Food
Mister 41 milioni di followers, Gianluca Vacchi, lancia “Kebhouze”, il kebab tricolore
Chissà che dall’alto dei suoi 41 milioni di followers - tra Instagram e Tik Tok - non riesca a rivoluzionare un prodotto, il kebab, da tempo presente in Italia ma che non ha mai sfondato del tutto tra il grande pubblico. È la sfida raccolta dall’imprenditore e influencer Gianluca Vacchi, che, a dicembre 2021, inaugurerà a Milano ed a Roma, “Kebhouze”, nuovo food brand su cui lo stesso Vacchi ha investito. Un progetto che parte subito forte con cinque aperture in contemporanea, tre nel capoluogo della Lombardia, in zone nevralgiche della città come Corso Buenos Aires, Via Paolo Sarpi e Porta Genova e due store a Roma, all’interno del Centro Commerciale Euroma2 e a Via Ostiense. Si tratta soltanto di un “antipasto” perché altre venti aperture sono già programmate in tutta Italia e all’estero per il 2022.
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Alla “radice” della viticoltura: dai Vivai Cooperativi Rauscedo per capire il futuro del vino
Lo stato dell’arte del vino in Italia e nel mondo attraverso la lente del più grande vivaio del mondo, Vivai Cooperativi Rauscedo, guidati dal direttore Eugenio Sartori: “dobbiamo mettere a disposizione dei viticoltori delle combinazioni di varietà e portainnesti più resilienti”. Come? Affidandosi alle scoperte del “Vcr Research Center”, l’avveniristico centro di ricerca guidato dalla dottoressa Elisa De Luca, dove nascono le varietà di vite resistenti, il futuro del settore, come racconta il presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella.
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