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N. 2.606 - ore 17:00 - Lunedì 4 Marzo 2019 - Tiratura: 31.087 enonauti, opinion leader e professionisti del vino |
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Ettari in crescita (4.129 nel 2017), con valori in aumento (100-120.000 euro ad ettaro, raddoppiati su 4-5 anni fa), 21 milioni di bottiglie, la metà esportate: è la fotografia dello stato di salute della Barbera d’Asti, dopo 10 anni da Docg, compiuti nel 2018. “Nel futuro, ora, più attenzione alla comunicazione e al posizionamento, per utilizzare tutta la “piramide” qualitativa, dal Nizza alla Barbera d’Asti Superiore, dalla Barbera d’Asti al Piemonte Barbera, con un obiettivo chiaro: mantenere la sostenibilità economica dei vigneti, e la dignità del lavoro dei viticoltori”. Così a WineNews il presidente del Consorzio della Barbera d’Asti, Filippo Mobrici. |
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Il sistema delle Denominazioni d’Origine è stato fondamentale per la crescita del vino italiano. Ma oggi, forse ha bisogno di una revisione o, quanto meno, di una riflessione su quello che è, e quello che dovrà essere. È lo spunto che arriva dal convegno per i 10 anni della Docg della Barbera d’Asti, nei giorni scorsi a Costigliole d’Asti. “Creare una Docg - ha ricordato Nicola Lucifero, docente di Diritto Agrario all’Università di Firenze - vuol dire legare il prodotto al territorio, valorizzare l’identità del vitigno e quella dei luoghi in cui si produce. Ma nel mondo, la denominazione deve essere difesa sul mercato, dove c’è una concorrenza spietata, e si deve pensare che in molti mercati il sistema delle denominazioni non è riconosciuto e che si lavora sui marchi, che sono un altro strumento”. “Oggi i disciplinari delle denominazioni italiane sono ancora basati, agronomicamente, sui modelli di prima del “climate change”. Forse dobbiamo ripensarli, e pensare a disciplinari che, nel rispetto del legame con il territorio, diano la possibilità di espressioni diverse, anche perchè sul mercato è la moltiplicazione dell’offerta la cosa che funziona”, ha sottolineato, invece, Michele Antonio Fino, professore di Fondamenti del diritto europeo dell’Università di Pollenzo. Ma c’è anche un altro aspetto da considerare, tirato in ballo da un decano della ricerca e della cultura del vino mondiale, Mario Fregoni, presidente onorario dell’Oiv: “oggi le varietà più coltivate come Merlot e Cabernet, per dirne alcune, stanno crescendo sempre di più, nel mondo e in Italia. E si fanno largo le varietà ibride. Dobbiamo pensare, quindi, che per mantenere presenti e competitive le nostre varietà autoctone, c’è tanto lavoro da fare. Al punto che presto si parlerà di candidare la Vitis Vinifera a patrimonio Unesco”. Fondamentale, dunque, fare più ricerca, anche con un maggior apporto dei privati, ha sottolineato Vincenzo Gerbi, docente di Enologia all’Università di Torino. Ma un altro aspetto che coinvolgerà sempre di più anche il vino, è la crescente attenzione per tutto quello che riguarda la salute, anche in tavola. “E anche per questo dobbiamo considerare il vino non come una bevanda, ma come un alimento liquido, quale è”, ha detto Giorgio Calabrese, presidente del Comitato Nazionale Sicurezza Alimentare del Ministero della Salute. |
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“Il vino si gusta nel suo significato non solo enologico, ma anche storico, in quanto prodotto di cultura e non di natura. Il vino appartiene alla storia dell’umanità, ha segnato tutta la civiltà. Basti pensare alle grandi mitologie greca ed ebraica, che attribuiscono la scoperta del vino l’una a Dioniso, l’altra a Noè. Penso ai simposi nell’antica Grecia, e all’importanza che hanno come punto di incontro, ma anche alla cena nel mondo cristiano, rito cruciale dove il vino rappresenta il sangue di Cristo. E oggi mantiene la sua importanza come simbolo di convivialità e di civiltà”. Parole “regalate”, in passato, a WineNews, da Tullio Gregory, uno dei maestri della cultura italiana del 1900, grande appassionato di enogastronomia, e “pensatore” moderno della cultura del cibo e della tavola, che si è spento nei giorni scorsi, a 90 anni, a Roma.
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“Dobbiamo insistere sulle Denominazioni d’Origine. Sono un patrimonio di tutti”. Così a WineNews Giorgio Ferrero, assessore all’Agricoltura del Piemonte, Regione top quando si parla di vino, con una produzione Dop di 250 milioni di bottiglie, che per il 45-50% finisce all’export, per un valore di oltre 1 miliardo di euro. Denominazione, però, vuol dire regole e, in certi casi, albi dei vigneti “chiusi”. Che in Toscana, Regione che li ha “inventati”, si sta ipotizzando di riaprire, per gestire al meglio il potenziale vinicolo e l’equilibrio di mercato. “Sono sicuramente temi su cui ragionare - commenta Ferrero, pensando al Piemonte - senza esasperare le posizioni. La denominazione non si può trasformare in un privilegio o in un diritto acquisito, ci deve essere sempre la possibilità per chi vuole di aderirvi, perché è un patrimonio costruito in generazioni, e non dobbiamo chiuderlo definitivamente”. Ma per il futuro del vino e dei territori del Piemonte, due sono le certezze, per Ferrero: proseguire l’investimento sull’agricoltura e sulla produzione biologica, e la promozione integrata di enogastronomia, cultura, arte e territori, strada già percorsa da tempo, in Piemonte, con eventi come il Salone del Gusto di Slow Food o il festival “Agrirock” di Collisioni, per citare due dei casi più celebri. |
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Il vino “naturale” conquista gli italiani, tanto che il 78% si dice interessato ad acquistarlo, conferendo al vino così definito maggiori valori di salubrità e qualità, mentre il 71% vorrebbe saperne di più. Emerge da un’indagine di Nomisma Wine Monitor per la griffe veronese Pasqua, che ha investito proprio in questo percorso, con il lancio del progetto “Brasa Coèrta”, una produzione limitata di 1.800 bottiglie che nascono dagli 1,2 ettari del vigneto Mizzole, e che vede la collaborazione tra la cantina veneta, lo chef Diego Rossi, e l’agronomo Lorenzo Corino. |
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Un pezzo di storia della Valpolicella guarda al futuro, grazie al progetto congiunto di tre diverse cooperative, quasi un unicum del genere, che si uniscono per rilanciare un grande marchio del territorio. Oltre a quello iniziale (non reso noto), ammonterà a 2 milioni e mezzo di euro nei prossimi due anni l’investimento per rinnovare le strutture e rendere più efficienti gli impianti delle Cantine Giacomo Montresor spa di Verona - storica azienda vitivinicola della Valpolicella fondata nel 1892, d’ora in poi “Montresor Heritage”, 10 milioni di fatturato per 2,3 milioni di bottiglie - che è stata acquisita, da una joint venture di cooperative: Terre di Cevico, la romagnola capofila con il 50% delle quote, e le venete Valpantena e Vitevis con il 25% ciascuna, con l’obiettivo di aumentare del 30-40% il fatturato nei prossimi cinque anni. |
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“Sul mercato inglese il vino italiano non è più solo un prodotto da supermercato, c’è sempre più interesse per i vini di alta qualità da vitigni autoctoni, con Bordeaux che perde terreno e la Borgogna che non produce volumi sufficienti, lasciando spazio a Barolo e Barbaresco. Difficile dire quali siano i territori più promettenti, dipende molto dall’annata e da come si comporta il clima, ma nel confronto con la Francia l’Italia per il futuro ha prospettive migliori”. |
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