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N. 4.358 - ore 17:00 - Venerdì 28 Novembre 2025 - Tiratura: 31.289 enonauti, opinion leader e professionisti del vino | |
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| | | Una riflessione su come la cultura del vino e le pratiche artistiche stanno contribuendo a ridisegnare l’identità dei territori: a Verona è andato in scena il convegno di MetodoContemporaneo, primo osservatorio permanente in Italia nato dalla ricerca di Università di Verona e Bam! Strategie Culturali. Un progetto da cui è nata una piattaforma online pensata come strumento dinamico di consultazione. Forte il legame tra arte contemporanea, vino e cantine che vi investono, da Cà del Bosco a Ceretto, da Castello di Ama a Planeta, dal Carapace-Tenute Lunelli a Feudi di San Gregorio, da Fontanafredda a Lungarotti e CastelGiocondo, solo per citarne alcune. | |
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| | Non ci sono alternative per “navigare” nella “tempesta perfetta” che sta investendo il vino: non serve resistere, ma è necessario adattarsi, perché la resilienza è la strategia vincente. Il successo non dipende da un modello di business vincente in assoluto, ma da capacità di adattamento, scelte imprenditoriali, managerializzazione e cultura aziendale. Per identificare le aree di miglioramento è necessario analizzare il proprio modello specifico e confrontarsi con aziende simili. A dirlo è il report annuale sui bilanci delle imprese del vino di Studio Impresa - Management DiVino, in partnership con “Il Corriere Vinicolo”, storica rivista di Unione Italiana Vini (Uiv). L’analisi (di cui abbiamo già riportato gli aspetti principali nei giorni scorsi), ha fotografato un mondo del vino capace di adattarsi ad un contesto difficile, ma che avanza a diverse velocità. Sfide strutturali (squilibrio tra produzione e consumo, frammentazione aziendale, cambiamento climatico) e congiunturali (inflazione, conflitti, calo del potere d’acquisto, cambiamento degli stili di consumo) impattano diversamente sulle aziende. Lo studio classifica le imprese in due modelli: “asset strong” (proprietari di vigneti) e “asset light” (focalizzati sul brand). Sebbene le aziende agricole (“asset strong”) mostrino crescita e marginalità superiori (+16% di ricavi, 21% di Ebitda) rispetto alle non agricole (+2% di ricavi, 10% di Ebitda), anche grazie ad un regime fiscale favorevole, si registra un riavvicinamento delle performance tra i due modelli e l’efficacia di quelli ibridi. Aspetti confermati ed approfonditi, nel dibattito di presentazione, dai vertici di aziende come Argea, Allegrini Wines, Ruggeri, Perla del Garda, Caviro, Ruffino, Confcooperative e Fivi. Ma, intanto, da alcuni dati della ricerca, estratti da Luca Castagnetti per WineNews, emerge una certa differenza nel fondamentale parametro della redditività, a seconda del territorio. In una Toscana in cui l’Ebitda medio del campione analizzato (143 imprese) è del 21,98% - con una media nazionale intorno al 10% - per esempio, spicca la la provincia di Livorno (con un campione di 11 imprese), ovvero Bolgheri, al top per margini creati con un Ebitda del 53,75% (in approfondimento le analisi sui dati di Toscana, Veneto, Langhe e della provincia di Brescia, terra del Franciacorta). | |
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| | Che nel mondo del vino non ci siano più certezze, è un dato di fatto. E come dice il proverbio, “l’erba del vicino è sempre più verde”. Ma pensare che i francesi prendessero “a modello” gli italiani sulla promozione, dopo che, per anni, il ritornello nel Belpaese è stato “dobbiamo imparare dai cugini francesi”, appare come un paradosso. Lo ha detto Jérôme Bauer, presidente Cnaoc-Confédération Nationale des producteurs de vins et eaux de vie de vin à Appellations d’Origine Contrôlées: “dobbiamo potenziare i nostri dispositivi di promozione interna e nei Paesi terzi. Gli italiani investono 100 milioni di euro all’anno nella comunicazione. Noi siamo a 40 milioni. Siamo in ritardo: dobbiamo rafforzare questa dotazione e lavorare di più sotto l’unica bandiera di “Vino di Francia. E muoverci in gruppo. È quello che fanno gli italiani”. | |
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| | | “Il vino ci appartiene, si intreccia alla nostra storia, presidia tradizioni, valorizza territori, costruisce paesaggi e segna l’identità del Paese. Due italiani su cinque si definiscono “consumatori evoluti” mossi da una particolare attenzione verso le caratteristiche di prodotto, se non da una vera e propria passione per le storie racchiuse in un calice. In particolare per quelle che fanno comunità: i racconti sul territorio ci attraggono più delle certificazioni; il genius loci è un driver narrativo più potente della storia del produttore. Tuttavia, sul piano della consapevolezza tecnica della familiarità con i metodi, le varietà e le tendenze del mercato, il riscontro dei consumatori italiani è piuttosto modesto. Familiarizziamo con il “Metodo Classico”, con le certificazioni e con i vini “senza solfiti”. Ma non più di uno su tre dichiara di conoscere (almeno in linea generale) i princìpi dei “No-Lo”, degli ancestrali, dei macerati o le varietà Piwi”. Questa è la fotografia dell’ultimo radar Swg che indaga anche su “Il rapporto degli italiani con il vino”, attraverso un sondaggio Cawi. Un legame, quello degli italiani con il vino, che “sembra molto più emozionale che informato”, tanto che al momento di procedere ad un acquisto, il parere di una figura competente ed esperta, sommelier in primis, ha un peso importante. | |
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| | | Oltre 35 milioni di visitatori nel 2024, con il 60% di dimore attive in cultura, turismo e agricoltura, e il 17% che produce vino (il 34% delle cantine è legata ad una dimora storica, il 100% fa enoturismo e l’86% ha aumentato le visite nell’ultimo anno), per un comparto che è una “risorsa viva” economica e sociale, sostenuto privatamente per un totale di 1,9 miliardi di euro l’anno. È la fotografia del nuovo Osservatorio sul Patrimonio Culturale Privato dell’Adsi-Associazione Dimore Storiche Italiane, che sono 46.000, e il 30% nei piccoli comuni. | |
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| | Nei primi 9 mesi 2025, l’export frena, accusando soprattutto gli effetti dei dazi Usa, ma non crolla, grazie alla vitalità mostrata, comunque, da altri mercati importanti, mentre in Italia, tanto la Gdo quanto il fuoricasa tengono, almeno in valore, nonostante le tante difficoltà che, da mesi, si intrecciano sullo scenario economico e geopolitico mondiale e che influenzano le performance di un settore, quello del vino, ma anche degli spirits e degli aceti made in Italy, che ha nei mercati di tutto il mondo il suo orizzonte. “Una filiera che conferma la propria solidità strutturale e che, pur muovendosi in un contesto internazionale particolarmente complesso, dimostra di saper intercettare nuove traiettorie di consumo”. Questa la sintesi dell’Osservatorio Federvini, curato da Nomisma e TradeLab, che analizza l’andamento dei comparti vini, spiriti ed aceti nei primi 3 trimestri 2025. | |
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| | | Le incertezze ci sono anche per i territori del vino italiano più famosi e riconosciuti a livello internazionale, come Piemonte, Toscana e Veneto. Ma la vendemmia 2025 è stata positiva, e al futuro si guarda con ottimismo, come ci hanno raccontato al Merano Wine Festival Alice Battistel (Damilano), Carlo De Biasi (San Felice), Elisabetta Gnudi Angelini (Caparzo), Giovanni Folonari (Tenute Folonari), Silvia Allegrini (Allegrini), Ernesto Abbona (Marchesi di Barolo), Stefano Tommasi (Tommasi Viticoltori), Filippo Mobrici (Bersano), Anton Zaccheo (Carpineto) e Riccardo Pasqua (Pasqua). | |
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