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N. 2.608 - ore 17:00 - Mercoledì 6 Marzo 2019 - Tiratura: 31.087 enonauti, opinion leader e professionisti del vino |
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Se negli ultimi anni è stato il Giro d’Italia a legarsi ai territori del vino e dell’enogastronomia italiana, con tappe dedicate a denominazioni come Chianti Classico, Sagrantino di Montefalco e Franciacorta, tra le altre, ora anche le grandi classiche del ciclismo valorizzano i territori. È il caso della penultima tappa della Tirreno-Adriatico, il 18 marzo, tra Matelica (Macerata) e Jesi (Ancona), le due capitali del Verdicchio, a cui sarà dedicata proprio questa “Wine Stage”, nata anche grazie alla partnership tra Rcs e l’Istituto Marchigiano di Tutela Vini. Ma non solo: anche la tappa precedente, tra i Colli del Metauro e Recanati, vedrà il vino al centro. |
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Nel suo complesso, il vino italiano si conferma uno dei settori più in salute dell’economia nazionale. Eppure, qualche preoccupazione per l’immediato futuro inizia a serpeggiare fra i produttori, ed i motivi non mancano. Il mercato interno, che resta primario e fondamentale, non ha vissuto la ripresa dei consumi che si sperava (-5,6% in volume e +1,6% in valore nel 2018, dati Iri), l’export cresce meno di quanto sperato (+5,5% in valore nei primi undici mesi 2018, a fronte di un leggero calo in volume, dati Istat). Ed è un fenomeno che riguarda tutto l’agroalimentare italiano: come ricordato nei giorni scorsi da Cia Agricoltori, il 2018 si è chiuso con l’export a quota 41,8 miliardi di euro, con un incremento modesto, del +1%. D’altra parte, come sottolineato da Davide Gaeta, docente di Economia dell’impresa Vitivinicola all’Università di Verona, “è un fatto che siamo in una fase di recessione economica, e ci si interroga se questa stia per coinvolgere anche l’agroalimentare italiano, storicamente considerato anticiclico. E viene da chiedersi, provocatoriamente, se l’export, negli ultimi anni, sia stata davvero una soluzione vincente, o solo una scialuppa di salvataggio per una nave che imbarcava acqua”. “Sicuramente viviamo un momento di riflessione - ha commentato a WineNews Piero Mastroberdino, produttore di riferimento della Campania, vice presidente Federvini e docente universitario di Economia del vino - all’interno siamo in fase stagnante di consumi, non c’è crescita ma c’è qualificazione. Questo non deve essere un palliativo, però, perchè la mancanza di crescita è un problema per un settore. L’export è un opzione, ma la condizione di fondo è quella di mantenere un buon livello di valore, quindi di remunerazione, di investimenti della filiera”. Fondamentale, in questo senso, investire in promozione anche a livello istituzionale. Come quella messa in campo dall’Ice, che dopo Stati Uniti e Cina, dove l’Agenzia per l’internazionalizzazione delle imprese, da tre anni ha attivato una campagna istituzionale promozionale del vino italiano, sta pensando di sostenere la comunicazione e promozione del Made in Italy anche in altri Paesi, come anticipato, a Winenews, da Ines Aronadio, direttore del Coordinamento per la Promozione del Made in Italy, a partire dal Giappone. |
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Il 2019 del mercato dei fine wine non era partito con grandi exploit: nei primi due mesi dell’anno si sono registrate solo cifre in negativo, con l’unica eccezione dell’Italy 100, a +0,3%. E il mese di febbraio conferma l’andamento: il Liv-ex 1000 registra un -0,9%, stessa musica per il benchmark del settore, il Liv-ex 100, sceso dello 0,7%. Col segno meno sono anche il Liv-ex Bordeaux 500, giù dello 0,4%, lo Champagne 50, a -0,1%, l’Italy 100, formato dalle ultime 10 annate fisiche di Sassicaia, Solaia, Tignanello, Ornellaia, Masseto, Guado al Tasso, Barbaresco di Gaja, Redigaffi di Tua Rita ed i Barolo Monfortino Riserva e Cascina Francia di Giacomo Conterno, con un -0,1%. Il Rhone 100, giù del -1%, il Rest of The World 50, a -1,2%, e il peggiore in assoluto, il Burgundy 150, a -3%. Unico indice in crescita, nel mese, il Bordeaux Legends 50, a +0,9%. |
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Vecchie annate in cantina, e scatta il dilemma: berle o tenerle ancora? A fornire una “bussola” per orientarsi c’è, tra le altre, la “Vintage Chart” compilata ogni anno da “Wine Enthusiast” (la cui italian editor è Kerin O’Keefe, ndr), che ripercorre, in estrema sintesi, le valutazioni delle ultime 25 annate di produzione delle regioni vitivinicole più importanti del mondo. Secondo cui, per esempio, guardando ai grandi vini italiani, le annate che sono in questo momento al loro picco qualitativo, e quindi da bere, sono la 1998 per il Barolo, la 1996 e la 2004 per il Barbaresco, la 1997 per l’Amarone della Valpolicella, o ancora la 1997 per il Brunello di Montalcino, la 2001 per Bolgheri, o la 1999 per il Chianti Classico, per fare degli esempi. Ma tra le curiosità, guardando alle valutazioni delle annate che, chiaramente, vanno prese come un’indicazione di massima, emerge che, per esempio, tra i grandi rossi d’Italia, dal 1993 ad oggi, il territorio che ha avuto il maggior numero di grandi annate, ovvero quelle valutate almeno 90/100, è il Chianti Classico, con 22, seguito a pari merito dal terzetto formato dal Brunello di Montalcino, da Bolgheri e dall’Aglianico del Vulture, con 19. Meglio di Barbaresco, con 18 annate, Barolo (17) e Amarone della Valpolicella (16). |
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Vino e contraffazione: in Puglia, Sicilia, Campania, Lazio ed Emilia Romagna i Carabinieri dei Nas e personale dell’Icqrf (Ispettorato Centrale Repressione Frodi) territorialmente competenti, insieme ai militari dei rispettivi Comandi Provinciali, hanno eseguito 21 decreti di perquisizione disposti dalla Procura della Repubblica del Tribunale di Foggia, nell’“Operazione Global Wine”, che ha portato al sequestro di 91.000 quintali di mosti e prodotti vinosi per un valore di 15 milioni di euro. A comunicarlo il Ministero delle Politiche Agricole. |
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Se con 131 miliardi di dollari Jeff Bezos, patron del colosso Amazon, è l’uomo più ricco del mondo secondo la classifica 2019 di Forbes, non mancano i nomi legati a doppio filo al wine & food. A partire dal quarto uomo più ricco del mondo, Bernard Arnault, alla guida del gruppo del lusso Lvmh, proprietario, tra gli altri di realtà come Chateau d’Yquem e Dom Pérignon, o da Francois Pinault (n. 30) “capo famiglia” di Artemis, che ha in mano realtà come Château Latour. E se n. 1 degli italiani (n. 39 assoluto) è Giovanni Ferrero, alla guida della grande industria dolciaria di Alba, da segnalare anche il petroliere argentino Alejandro Bulgheroni (n. 715), patron di Dievole, nel Chianti Classico, Poggio Landi, a Montalcino, e Tenuta le Colonne e Tenuta Meraviglia a Bolgheri, o, ancora, Andrè Esteves, finanziare brasiliano proprietario della storica Argiano, ancora a Montalcino. |
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L’indagine di Nomisma - Wine Monitor per la celebre cantina veneta Pasqua, che lancia il progetto “Brasa Coerta”. A WineNews le tendenze spiegate da Denis Pantini, il progetto enoico nelle parole di Riccardo Pasqua, dell’agronomo Lorenzo Corino, tra i massimi esperti in materia, e dello chef Diego Rossi del “Trippa” di Milano. E, tra moda “naturale” e scelte dei consumatori, le impressioni sul fenomeno di Paolo Porfidio, head sommelier del Terrazza Gallia di Milano. |
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