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N. 2.477 - ore 17:00 - Venerdì 31 Agosto 2018 - Tiratura: 31.087 enonauti, opinion leader e professionisti del vino |
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“I tre anni che mi aspettano saranno impegnativi e mi auguro di continuare con successo la strada intrapresa dai miei predecessori e contribuire al consolidamento e alla valorizzazione di una delle eccellenze del mondo vitivinicolo italiano e internazionale”: così Giovanni Manetti, viticoltore-artigiano proprietario di Fontodi e neo presidente del Consorzio Chianti Classico, nominato oggi dal CdA, raccogliendo il testimone da Sergio Zingarelli (Rocca delle Macìe). Tra i progetti del triennio, l’iter per la candidatura Unesco del Chianti Classico come paesaggio culturale e la governance del Distretto Rurale del Chianti, d’intesa con i Comuni del territorio. |
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Se l’annata 2017 è stata tra le più scarse degli ultimi 50 anni, causa un vero e proprio accanimento climatico, quest’anno siamo tornati ai valori medi riferiti alle annate di piena produzione. Anche il periodo della raccolta, secondo i primi dati ufficiali di Assoenologi, risulta nella norma, con circa 7-15 giorni di ritardo sul 2017. Ciò che però ha caratterizzato l’annata sono state le punte di caldo alternate a forti precipitazioni che hanno creato un’elevata umidità. “Anche quest’anno - commenta le previsioni il presidente Assoenologi Riccardo Cotarella - l’Associazione è stata particolarmente attenta e cauta nelle stime, in considerazione del fatto che ormai i cambiamenti climatici possono creare, anche in territori limitrofi, transazioni da clima continentale a clima tropicale che possono determinare importanti differenze dal punto di vista qualitativo e quantitativo. Alla data attuale Assoenologi stima un quantitativo di oltre il 20% in più sul 2017 e una qualità eterogenea, buona con diverse punte di ottimo ed alcune di eccellente. Ma tutto ciò potrebbe variare anche sensibilmente a seconda dell’andamento climatico di settembre e ottobre”. Ad oggi (31 agosto) è stato raccolto circa il 15% dell’uva, la prima Regione a staccare i grappoli è stata la Sicilia l’ultima settimana di luglio, seguita da Puglia e Lombardia (Franciacorta) nella prima decade di agosto, quando, nella maggior parte delle Regioni, si sono raccolte le varietà precoci (Chardonnay, Pinot, Sauvignon). Il pieno della raccolta, in tutt’Italia, avverrà tra la seconda decade di settembre e la prima di ottobre, per concludersi verso fine ottobre con il Nebbiolo in Valtellina, il Cabernet in Alto Adige, l’Aglianico del Taurasi in Campania e i vitigni autoctoni sull’Etna. Le prime previsioni indicano una produzione di vino e mosto superiore di circa 10 milioni di ettolitri al 2017. Tutte le Regioni evidenziano consistenti incrementi produttivi con punte anche del 30-35% soprattutto nel centro Italia, con la Puglia (11,9 milioni di ettolitri, +20%) che torna prima tra le Regioni più produttive, seguita da Veneto (10,3) ed Emilia Romagna (7,8). Con 55,8 milioni di ettolitri il 2018 si colloca al secondo posto nella produzione degli ultimi vent’anni. Bisogna infatti risalire al 1999 per riscontrare un quantitativo maggiore (58,1 milioni di ettolitri). |
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“In 10 anni è stata contingentata la produzione di Verdicchio dei Castelli di Jesi, triplicata la superficie media di ettari vitati per azienda, rinnovato oltre 1/4 del vigneto e l’imbottigliamento fuori zona è calato del 75%. Le aziende aderenti ai progetti di promozione sono aumentate del 165% e l’export è cresciuto di quasi il 50%. Scelte che stanno pagando sul piano dell’affermazione qualitativa, ma ora serve lavorare di più sul valore, sull’aspetto commerciale e di marketing, in Italia come all’estero”. Così, nei 50 anni della Doc (18 milioni di bottiglie, di cui la metà all’export, 2.190 ettari coltivati e 493 aziende), il direttore Imtv-Istituto Marchigiano di Tutela Vini Alberto Mazzoni. “Abbiamo il bianco fermo da 4 anni più premiato dalle guide italiane e non riusciamo a far valere fino in fondo il nostro valore reale sui mercati”. |
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Come un’onda, cresciuta negli ultimi anni, il vino bianco fermo è la tipologia più consumata in Italia e in Uk (e presto anche in Usa), la più presente sulle tavole dei ristoranti italiani, la più avvantaggiata, con gli sparkling, da cambiamento climatico e approccio femminile al bere. Ma soprattutto, è una leva fondamentale per l’export made in Italy, e con un valore di 1,287 miliardi di euro l’anno, è il più venduto al mondo, meglio di Francia (1,276 miliardi), Nuova Zelanda, Spagna, Germania e Australia. Emerge da un’indagine Nomisma-Wine Monitor per Imt-Istituto Marchigiano di Tutela Vini a Collisioni Jesi. In 5 anni gli “still white italian wine” sono cresciuti del 26% a valore, contro il +16% dei rossi, grazie al successo in Europa e, soprattutto, in Nord America (+73% della richiesta a valore), con Usa, Germania e Uk principali buyer (2/3 delle vendite), nonostante un prezzo medio (2,80 euro al litro) più basso dei competitor. Ma, “trainati da nuove tendenze e modalità di consumo verso prodotti più versatili e da consumare fuori casa”, spiega Denis Pantini, il loro consumo cresce anche in Italia (40,1% contro il 39,8% dei rossi), con le vendite a +14% in gdo contro +7% dei rossi. La carta vincente? “Gli autoctoni - spiega Alberto Mazzoni, direttore Istituto Marchigiano di Tutela Vini - versatili, dalla grande varietà e longevi”. |
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Bella la vendemmia, ma soprattutto un duro lavoro. Pagare per farlo? Non è una boutade. Qualche hanno fa, nel clamore, a lanciare l’idea fu Sting, rockstar-vignaiola alla Tenuta Il Palagio in Toscana. Oggi sono tante le cantine a proporre una “harvest experience”. E agli enoturisti, piace. Lo si può fare nei territori più famosi d’Italia: come tra i vigneti di Brunello a Montalcino dove Castiglion del Bosco, dedica alla vendemmia l’“Harvest Experience” (100 euro per 3 ore) e l’”Harvest Event” (250 euro per 6 ore) con il team della cantina. |
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Cavit, la cantina cooperativa trentina che riunisce 4.500 viticoltori e rappresenta il 60% della produzione enoica regionale, per un fatturato di 182,5 milioni di euro, con una quota export dell’80%, conquista la vetta della “Top 20 Cooperative e Cantine Sociali Italiane” della storica testata tedesca “Weinwirtschaft”, grazie alla qualità media delle sue etichette top, capaci di mettere insieme ben 443 punti, per una media di 88,6/100, la più alta tra i vini di tutte le cooperative prese in esame. “Questo importante riconoscimento - commenta il dg Cavit Enrico Zanoni - testimonia l’elevata qualità della nostra produzione, raggiunta grazie all’impegno e passione dei nostri 4.500 viticoltori e alle competenze del nostro team agronomico ed enologico, confermando la capacità di Cavit di generare qualità nelle diverse fasce di mercato”. |
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"Ci sono alcuni Paesi che ancora prediligono assolutamente i rossi, come la Cina, ma molti altri si sono spostati sul consumo di bianchi, come gli Usa, il Canada e anche il Nord Europa. Grazie a questo interesse, l'Italia guida l'export di vini bianchi fermi nel mondo": a WineNews le parole di Denis Pantini, responsabile di Nomisma - Wine Monitor. "I nostri competitor? La Nuova Zelanda in primis: i cugini francesi sono più concentrati sui rosé, mercato da non sottovalutare". |
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