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WineNews
N. 3.693 - ore 17:00 - Mercoledì 26 Aprile 2023 - Tiratura: 31.183 enonauti,
opinion leader e professionisti del vino
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La News
Bollinger cresce in Borgogna
La Francia del vino viaggia su due binari ben distinti: da un lato Bordeaux, che da mesi tratta con il Governo un piano per ridurre il proprio potenziale produttivo, ormai spropositato rispetto alle richieste del mercato; dall’altro, la Borgogna, che vive una crescita inarrestabile, e capace di catalizzare l’interesse degli investitori. Come il Gruppo Bollinger, che oltre alle due griffe dello Champagne (Bollinger e Ayala) è presente nella Loira, in Oregon, a Sancerre, in Cognac e, appunto, in Borgogna, con Chanson, a Beaune, cui se ne affianca adesso un’altra: i 50 ettari vitati di Château d’Etroyes, nella Côte Chalonnaise, dove si producono le Aoc Mercurey e Rully.
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Primo Piano
Gli operatori internazionali del trade puntano sull’exploit dei vini no e low alcol

I vini low e no alcol sono destinati a dividere a lungo opinioni e mercato. Da un lato, chi li vede come una enorme opportunità commerciale, e, dall’altro, chi ritiene non si dovrebbero neanche fregiare del nome vino. Di certo, il comparto delle bevande analcoliche o a bassa gradazione - dalla birra al sidro, passando proprio per il vino e per il Gin - è una solida realtà che, nel 2022, secondo i dati Iwsr, ha movimentato un’economia da 22 miliardi di dollari, con una crescita prevista nell’ordine del +7% annuo per i prossimi cinque anni. È il motivo per cui la ProWein, nell’ultima edizione, ha deciso di dedicare alla categoria un intero spazio, forte anche dell’interesse mostrato dal trade, emerso dalle pieghe del “ProWein Business Report 2022”. Se, per il 63% degli intervistati, le aspettative più alte sono per le bollicine, e per il 60% il 2023 sarà l’anno dei bianchi, un terzo dei professionisti del vino (33%) si aspetta ottime performance da parte dei vini low alcol, ed il 24% è pronto a scommettere sul successo dei no alcol. All’interno della categoria low e no alcol, le aspettative maggiori sono per i vini bianchi, per i quali il 73% del trade internazionale prevede buone performance nel 2023, seguiti dagli spakling (58%), dai rosé (37%) e dai rossi (27%). L’aspetto forse più interessante che emerge dal report, firmato dalla ProWein, riguarda la reazione di trade e produttori al mutare del mercato. Tra i primi, il 16% è pronto a mettere in portfolio vini low no alcol, una percentuale che sale al 49% tra chi crede nella performance positiva della categoria; l’11%, quindi, aggiungerà vini no alcol alle proprie proposte (il 47% tra chi crede nella categoria). La maggior parte dei produttori, invece, pari al 52%, non ha in programma alcun cambiamento, il 10% del totale (il 30% di chi crede nella categoria) ha intenzione di produrre un vino low alcol, ed appena il 3% lancerà sul mercato un vino no alcol (il 15% tra chi pensa che i vin no alcol faranno bene nel 2023). Un limite alla produzione di vini low e, soprattutto, no alcol sta nei costi di una tecnologia non alla portata di tutti. Più semplice, ma limitato a pochi gradi di differenza, intervenire sugli aspetti agronomici ed enologici, anche e soprattutto per rispondere agli effetti del Climate Change.

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Agroalimentare, tra default e rischiosità
Il fatto che i dati raccontino i record dell’export del made in Italy agroalimentare (oltre 61 miliardi di euro nel 2022, compreso il vino) e che tante aziende leader conquistino primati e riconoscimenti in Italia e nel mondo, non vuol dire che vada tutto bene, in un settore fatto da tante aziende diverse per dimensioni, produzioni e valori, e che porta addosso i segni della pandemia e del boom dell’inflazione. A confermarlo, l’analisi Crif Ratings, agenzia di rating del credito fondata a Bologna che opera in 4 continenti, secondo cui le aziende operanti nel settore alimentare mostrano un significativo incremento del tasso di default, che a fine 2022 si attesta attorno al 4%. Regge meglio il comparto agricolo sebbene con tassi superiori al 2% (tutti i dati in approfondimento).
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Focus
Dalla Grecia ad Enotria: una storia da riscrivere?
E se la Storia della domesticazione della vite in Italia (intesa come entità geografica, e non certo come Stato/Nazione), così come la conosciamo oggi, fosse a dir poco lacunosa, e necessitasse, per ampie parti, di essere riscritta? Ne è convinto il professore Stefano Del Lungo, archeologo e ricercatore del Cnr, che ha firmato il volume “Fra le montagne di Enotria - Forma antica del Territorio e paesaggi viticolo dell’Alta Val d’Agri”, frutto di due anni di ricerca che combina la genetica storica all’archeologia attraverso le scienze biologiche (il Dna delle varietà), agronomiche (le qualità ambientali e i caratteri ampelografici) e dell’Antichità (la topografia antica delle vallate fluviali, la biodiversità vegetale resa in terracotta e metallo, le cantine in grotta, la documentazione d’archivio a corredo). Partendo dall’uva e dal vino, racconta come nell’entroterra lucano, all’arrivo dei Greci, la viticoltura fosse già una pratica diffusa: all’inizio della colonizzazione di questi luoghi, restano colpiti nel trovare un paesaggio segnato marcatamente dalla viticoltura e quindi, secondo la loro cultura, “non barbaro”. Ma anche di come la diffusione della vite lungo la penisola, e poi in Francia, abbia percorso strade diverse da quelle che, sinora, abbiamo dato per certe (in approfondimento).
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Cronaca
I racconti di “Sorsi d’Autore 2023”
Coniugare l’eterna bellezza delle Ville Venete, Patrimonio Unesco, con degustazioni guidate di vini pregiati ed eccellenze gastronomiche del territorio, facendole rivivere in chiave di convivialità e cultura contemporanea, con intensi e divertenti momenti di dialogo con personalità di spicco come Michele Serra, Serena Dandini, Oscar Farinetti, Dario Vergassola, Luca Telese e Luca Sofri. Ecco “Sorsi d’Autore 2023”, tra i più importanti e longevi Festival culturali e “di territorio” in Italia (in approfondimento).
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Wine & Food
L’orto come modello di architettura sostenibile. La Santa Sede alla Biennale di Venezia
“Per un futuro migliore della terra”. La Santa Sede, per la seconda volta, partecipa alla Biennale di Architettura di Venezia (20 maggio-26 novembre) portando messaggi di importanza sociale e di sostenibilità ambientale. Una presenza che si concretizza con la mostra “Amicizia sociale: incontro in giardino”, che sarà allestita negli edifici del Monastero benedettino e nei giardini dell’Abbazia di San Giorgio Maggiore, dal 20 maggio al 26 novembre. L’invito è quello di “prendersi cura del pianeta come ci prendiamo cura di noi stessi e celebrare la cultura dell’incontro”, ha spiegato l’architetto Roberto Cremascoli ideatore e curatore del Padiglione, che con queste parole sintetizza gli insegnamenti di Papa Francesco, tratti dalle encicliche “Laudato si’” (2015) e “Fratelli tutti” (2020), che diventano a loro volta ossatura e guida ideale dell’intero percorso espositivo.
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Fieramente
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“Unire il meglio di moda, che è innovazione, e vino, che è tradizione, sarebbe la perfezione”
Il futuro di Signorvino, enocatena da 55 milioni di euro (e pronta allo sbarco all’estero) per Sandro Veronesi (“mr Calzedonia”) e Federico Veronesi. La storia di un percorso partito dalla scaffale e arrivato alla produzione di vino (con La Giuva, in Valpolicella, e Tenimenti del Leone nel Lazio, ma anche in Sardegna e nel Trentodoc). “Dalla moda il vino deve prendere una ventata di novità e di freschezza nel modo di comunicare e di vendere”.
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