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WineNews
N. 2.541 - ore 17:00 - Mercoledì 28 Novembre 2018 - Tiratura: 31.087 enonauti,
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La News
L’Italia nella classifica “Les 100 Chefs”
È Enrico Crippa, con il suo Piazza Duomo di Alba, il primo italiano (al n. 26) della classifica “Les 100 Chefs” del magazine francese “Le Chef”, una sorta di “Pallone d’Oro” della cucina mondiale dove a votare sono gli stessi protagonisti, gli chef 2 e 3 stelle Michelin di tutto il mondo. Al top assoluto c’è Arnaud Donckele con il La Vague d’Or di Saint Tropez. 6, in tutto gli Italiani: oltre a Crippa ci sono Nadia Santini (Dal Pescatore, n. 38), Massimiliano Alajmo (Le Calandre, n. 40),  Massimo Bottura (Osteria Francescana, n. 57), Stefano Baiocco (Villa Feltrinelli, n. 63) e Carlo Cracco (Cracco, n. 92). Tra i Paesi, Francia ampiamente in testa con 36 ristoranti.
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Primo Piano
Il mercato Usa ed il futuro tra Baby Boomers e Premiumization
Il competitor principale per il vino italiano sul mercato Usa? Gli Usa. La produzione interna, infatti, rappresenta ancora il 75% del totale, con i consumi pro capite ancora fermi a 10 litri. Sembra un paradosso, ma anche il primo mercato al mondo, sia per consumi che per importazioni, ha qualche limite. E lo sa bene l’Italia, che, come ricorda dal convegno “Tendenze del mercato Usa ed evoluzione del sistema distributivo del vino italiano”, di scena al wine2wine a Verona, Gioia Morena Gatti, dell’Ice di New York, pur continuando a crescere, è dietro alla Francia. Secondo i dati delle dogane forniti dallo US Dept. of Commerce, le esportazioni sono cresciute del +9,2% in valore e del +1,8% in quantità, per una quota di mercato che sale al 32%, mentre i prezzi medi raggiungono i 5,8 dollari al litro, con Francia e Nuova Zelanda che fanno decisamente meglio di noi. Niente panico però, arrivare ad un punto di stasi, a voler vedere bene, è fisiologico, e l’aspetto positivo di tutto questo, ricorda Nunzio Castaldo, importatore in Usa con la sua Panebianco, ma per una vita braccio destro a Winebow di Leonardo Locascio, “è che di tutto il vino importato in Usa una bottiglia su tre è italiana, ma per continuare a crescere, da un punto di vista qualitativo, è bene conoscere il mercato e le tendenze che lo muovono e caratterizzano. Gli Usa sono un Paese in salute, la disoccupazione è al 3,5%, l’economia cresce, e se il futuro è dei Millennials nel presente c’è ancora bisogno dei Baby Boomers e della Generazione X, che spendono di più ed hanno voglia di cose nuove (Bolgheri, Etna ed Alto Piemonte), da consumare a bottiglia e non al bicchiere. C’è voglia di vini semplici. Nel frattempo, si moltiplicano le occasioni di consumo, con il vino che è sempre più spesso la risposta alla domanda: cosa beviamo? Ma il vino è ancora emozione, e l’Italia continua ad emozionare gli americani, sia la critica che i consumatori, innamorati di Puglia e Sicilia, mete delle vacanze da ricordare nel bicchiere. Inoltre - conclude Castaldo - in Usa cresce la qualità media in gdo, specie sulle fasce alte di prezzo, ed il boom delle vendite dirette, che attrae i colossi dell’e-commerce, “minaccia”, per la prima volta, il three tier system”.
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Vino e moda, così vicini, così lontani
Vino e moda italiana sono due dei principali motori del nostro export, e tra i primi ambasciatori del life style italiano nel mondo. Ma se possono vivere qualche sinergia comunicativa, sono mondi diversissimi, nonostante spesso vengano avvicinati. A dirlo a WineNews Raffaello Napoleone, alla guida di Pitti Immagine. “Dalla distribuzione, per esempio, perché se la moda è sempre più fatta da store monomarca di proprietà dei brand stessi, nel vino questo non esiste (salvo rarissime eccezioni, ndr), perchè il vino di alto livello si rivolge soprattutto alla ristorazione. Nel vino, ancora, c’è un livello elevatissimo di patrimonializzazione, nella moda si investe soprattutto sulla creatività, che deve essere rinnovata ormai quasi mensilmente. Diversissimi sono i margini di redditività, molto più alti nella moda, e così via”. 
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Focus
Bortolomiol, primo investimento nella Montalcino “allargata”
Il brand di Montalcino continua ad attirare investimenti enoici anche nella sua “zona allargata”, dopo la fusione di qualche mese fa con San Giovanni d’Asso, ora sotto l’egida del Comune del Brunello. Come WineNews è in grado di anticipare, la griffe del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, Bortolomiol, oggi guidata dalle sorelle Elvira, Luisa e Giuliana, ha acquisito il Podere La Canonica, al confine tra San Giovanni d’Asso e Montalcino. Della proprietà fa parte anche un ettaro vitato, non iscritto a Brunello di Montalcino. Una prima acquisizione che è uno spartiacque anche per il valore fondiario dei vigneti che lambiscono una delle denominazioni più prestigiose del mondo, stimabile in un valore sui 140.000 euro per ettaro (mentre per i vigneti iscritti a Brunello si parla anche di 700.000 euro ad ettaro). E tra i vigneti del Brunello di Montalcino, da quanto apprende WineNews, ha perfezionato di recente nuove acquisizioni di appezzamenti di vigne il Gruppo ColleMassari di Claudio Tipa (che nel territorio mette insieme ormai oltre 41 ettari di vigneto, per una buona metà a Brunello di Montalcino, tra Poggio di Sotto, La Bellarina, La Velona e la Tenuta San Giorgio), e dove Francesco Illy (Podere Le Ripi), avrebbe acquisito Marchesato degli Alemarici, con 15 ettari vitati (9 a Brunello di Montalcino).
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Cronaca
I muretti a secco Patrimonio Unesco
Dalle “marogne” su cui in Veneto, in particolare tra Valpolicella e Soave, si sorreggono i vigneti di collina, ai terrazzamenti che, in Liguria come in Alto Adige, o a Pantelleria, sostengono vigne e coltivazioni, a quelli che, in Puglia, circondano gli ulivi secolari: i muretti a secco, nel Belpaese, sono uno dei tratti distintivi di tanti paesaggi rurali. Ma anche in Francia, Grecia, Spagna, Svizzera, Slovenia, a Cipro ed in Croazia. Tanto che “La pratica rurale dell’arte dei muretti a secco”, è appena diventata “Patrimonio Immateriale dell’Umanità”.
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Wine & Food
Lo chef Josè Andrès candidato al Nobel per la Pace
Quando, nel 2017, l’uragano Maria si abbatté su Puerto Rico, mettendo in ginocchio l’isola, lo chef ed imprenditore spagnolo Josè Andrès  abbandonò tutto per andare a dare una mano. In poche settimane, superando anche gli ostacoli burocratici posti sul suo cammino da Washington, ha creato un vero e proprio network di chef di tutto il mondo, che sotto il cappello della “World Central Kitchen”, nell’arco di un solo mese, ha servito più di due milioni di pasti. Tutt’altro che un contributo simbolico, un aiuto fondamentale, superiore a quello della Croce Rossa Internazionale. Tanto che il deputato democratico statunitense John Delaney ha deciso di candidare formalmente Josè Andrès al Nobel per la Pace: “grazie al lavoro di Andrès, milioni di persone sono state sfamate”.
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WineNews.tv
Ricci Curbastro (Federdoc): la sostenibilità nel futuro dei Consorzi del vino italiano
“È il momento di interrogarci sul futuro: sicuramente, un grande vino viene da un grande territorio, grande non solo perché ci sono vignaioli sognatori capaci di pensare ad un grande vino, di portarlo in giro per il mondo, promuoverlo e proteggerne il marchio, ma è grande anche se, percorrendolo, ho la sensazione di trovarmi in un territorio all’altezza delle mie aspettative non solo dal punta di vista qualitativo ma anche dal punto di vista della sostenibilità: ambientale, sociale ed economica”.
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