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N. 2.972 - ore 17:00 - Martedì 25 Agosto 2020 - Tiratura: 31.087 enonauti, opinion leader e professionisti del vino |
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Come previsto, dopo i buoni dati dei primi mesi dell’anno (soprattutto gennaio e febbraio) solo in parti penalizzati dal Covid, il calo delle esportazioni divino italiano nel mondo colpito dalla Pandemia è arrivato: nei primi 5 mesi del 2020, le spedizioni si sono fermate a 2,4 miliardi di euro, -4% sullo stesso periodo 2019, secondo i dati Istat analizzati da WineNews. Tra i principali mercati, tengono, tutto sommato, Usa e Germania, entrambi in calo del -0,5%, per un valore, rispettivamente, di 629 e 429 milioni di euro. Male il Regno Unito, a -11,8% per 253 milioni di euro, e la Svizzera, giù del -14,3%, a 138 milioni. Bene il Canada: +11,1%, a 140 milioni di euro. |
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Se nel complesso, i primi 5 mesi 2020 delle esportazioni enoiche hanno virato in terreno negativo (-4% sul 2019), i primi 6 mesi 2020 erano partiti bene per il vino italiano nel complesso, e soprattutto per alcuni dei suoi distretti. Da cui sarà fondamentale ripartire per tornare a cresce, appena superata la pandemia. A raccontarlo un approfondimento del “Monitor dei distretti agroalimentari” di Intesa San Paolo. Secondo il quale 7 distretti del vino su 10 tra quelli che fanno parte del panel individuato dal Centro Studi della banca, erano partiti nettamente in positivo. A partire da quello dei Vini di Langhe, Roero e Monferrato (quello più importante in assoluto in valore tra i distretti del wine & food d’Italia, con un export di 1,7 miliardi di euro nel 2019, il 7,9% del totale dell’export dei distretti agroalimentari, ndr), sebbene a ritmi più contenuti (+5,2% tendenziale) sulla crescita a due cifre del 2019 (+12,5%). Il distretto di Barolo, Barbaresco, Barbera e non solo, totalizza 406 milioni di esportazioni nel trimestre, e cresce verso tutte le principali destinazioni, in primis Stati Uniti (+12%) e Germania (+7%). Anche i Vini del Veronese si fanno apprezzare, con Valpolicella, Soave e non solo che hanno mosso quasi 250 milioni di euro di export, un +4,4% nel primo trimestre 2020 (+5,9% il risultato del 2019), realizzato soprattutto in Germania (+18,5%). Anche il Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene, secondo Intesa San Paolo, aveva ripreso la sua corsa (+6,3%) dopo la chiusura quasi invariata del 2019 (-0,5%), fermandosi poco sotto i 175 milioni di euro nel periodo gennaio-marzo 2020. Ottimo risultato, con 187 milioni complessivi, per i Vini dei colli fiorentini e senesi, che tra Brunello di Montalcino e Chianti Classico, Nobile di Montepulciano e Chianti, Vernaccia di San Gimignano e non solo, registrano un +13,1% tendenziale.Crescono a due cifre, sebbene su importi molto più contenuti, anche i Vini e distillati di Bolzano, (+12,5%) e i Vini e distillati del Friuli (+10,7%), mentre è boom per il distretto dei Vini e liquori della Sicilia Occidentale (+34,2%). Tra i distretti che registrano un risultato negativo, i Vini e distillati di Trento (-2,1% tendenziale), i Vini del Montepulciano d’Abruzzo (-2,4%), e i Vini e distillati del Bresciano (-9,1%). |
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Il Veneto agricolo conta i danni, a poco più di 24 ore dal nubrifagio che si è abbattuto su Verona e d’intorni, con la città già tornata sostanzialmente alla normalità, come raccontato sui social dal presidente della Regione Luca Zaia, rilanciando l’hashtag #OrgoglioVeneto, e con i vigneti della Valpolicella che, per fortuna, hanno subito gravi danni solo in una zona circoscritta, più o meno 400 degli 8.000 ettari della denominazione, come già riportato ieri dal Consorzio della Valpolicella e come testimoniato dai tanti produttori sentiti da WineNews. In ogni caso, i tecnici di Avepa, l’Agenzia Veneta per i Pagamenti, sono impegnati nella stima dei danni. A dirlo l’Assessorato all’Agricoltura del Veneto, sottolineando l’estrema violenza dell’evento, ma anche gli effetti localizzati. “In Valpolicella, ad esempio, colpiti solo 2 comuni sui 19, Verona zona est e San Pietro in Cariano”. |
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Tra calcio e vino il legame è sempre più intenso. Ma c’è una prima assoluta: un “vignaiolo” sulla panchina della squadra Campione d’Italia in carica. Ovvero Pirlo allenatore della Juventus. Perché “il Maestro”, più volte Campione d’Italia con Juventus e Milan e Campione del Mondo con l’Italia nel 2006, da anni conduce la sua azienda Pratum Coller, in provincia di Brescia. Chissà che, nel corso del campionato, non ci scappi anche un derby enoico tra allenatori, visto che il collega Luciano Spalletti, ex allenatore di Inter e Roma, tra le altre, e produttore in Toscana con La Rimessa, a Montaione, potrebbe tornare su una panchina di Serie A. Ma intanto la lista di ex calciatori che si sono dati al vino con cui brindare è lunga: dall’ex compagno di squadra Andrea Barzagli, che produce vino in Sicilia con Le Case Matte, all’ex Lazio e Juve Hernanes, brasiliano che ha fondato “Ca’ del Profeta”, nell’Astigiano, passando per Damiano Tommasi, ex di Roma e Nazionale che produce Amarone in Valpolicella, nella Tenuta San Micheletto, o ancora Paolo Rossi, con Borgo Cennina, nell’aretino, passando per “il mago” Andrés Iniesta, con la sua Bodega Iniesta in Spagna. E magari, tra qualche tempo, arriverà anche Del Piero, che possiede 25 ettari di terreno a San Vendemmiano, a due passi da Conegliano, terra di Prosecco Docg ...
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Il futuro è dei giovani. Anche nel vino. E tra i più influenti in Usa, secondo la “40 Under 40 Tastemaker 2020” di “Wine Enthusiast”, c’è anche l’italiano Vittorio Marzotto, Senior Director of Fine Wines di Santa Margherita Usa, il braccio operativo negli States del gruppo enoico, tra i più importanti d’Italia, fondato dalla famiglia Marzotto (Vittorio è la quarta generazione, ndr), che in Usa è sinonimo di Pinot Grigio e Prosecco, e che ha sotto il suo ombrello realtà come Ca’ del Bosco in Franciacorta, Kettmeir in Alto Adige e Lamole di Lamole nel Chianti Classico, solo per citarne alcune. |
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La viticoltura e la produzione di vino nel Stati Uniti sono arrivate con gli europei, oltre 500 anni fa. O forse no, perché emergono elementi da cui si può supporre che già i Nativi americani producessero vino da uva. Almeno, lo fanno pensare i residui chimici di acido tartarico e succinico, rinvenuti in 54 frammenti di ceramica scoperti in Texas dal team della dottoressa Crystal Dozier, professore associato alla Wichita State University, in un lavoro di ricerca pubblicato sul Journal of Archaeological Science, come riporta “Wine Spectator”. “È la prima prova chimica archeologica che indica una produzione autoctona di vino nelle Americhe, anche se certamente non è definitiva”, hanno scritto i ricercatori. Le implicazioni potrebbero essere enormi, ma sono necessari ulteriori studi, che potrebbero portare ad una rilettura della storia enologica americana. |
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A WineNews le riflessioni (raccolte ad Ottobre 2019) di uno dei grandi pionieri del giornalismo del vino: “in 30 anni il Belpaese enoico è cresciuto più che nei precedenti 3.000. In pochi decenni è stato valorizzato un patrimonio enorme di vitigni autoctoni. Ad essersi impoverita è la comunicazione del vino, troppo legata ai punteggi. Bisogna raccontare i vini, i vitigni, i cru, in territori, e tornare ad un tipo di giornalismo e di comunicazioni focalizzati su questi aspetti”. |
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