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N. 2.741 - ore 17:00 - Mercoledì 25 Settembre 2019 - Tiratura: 31.087 enonauti, opinion leader e professionisti del vino |
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Italia leader delle tecnologie di cantina, con il made in Italy presente nel 70% delle delle aziende enoiche del mondo. Un settore che, per il Belpaese, vede le esportazioni crescere del 10% nei primi 5 mesi del 2019, per un giro d’affari che si attesta sui 900 milioni di euro (dopo aver toccato, nel 2018, i 2,3 miliardi di euro complessivi), grazie alle performance positive, sopra le aspettative, delle macchine per imbottigliamento e confezionamento. A dirlo, i dati rilanciati da Simei, la più importante fiera di settore del mondo, firmata da Unione Italiana Vini (Uiv), di scena a Fiera Milano Rho, dal 19 al 22 novembre 2019. |
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La concorrenza nelle vendite con il Prosecco che si fa sentire soprattutto in mercati strategici, come il Regno Unito, e di cui si inizia a parlare in maniera palese, i rischi della Brexit e delle continue minacce di dazi da parte degli Usa, il cambiamento climatico che impone riflessioni importanti sul futuro, ma anche dinamiche interne che creano una pressione sui prezzi che crea qualche preoccupazione: è la fotografia dello Champagne, raccontata a WineNews, da Jean-Claud Fourmon, e dal figlio Benjamin, che ha preso le redini della storica maison Joseph Perrier, fondata nel 1825, e guidata da sei generazioni proprio dalla famiglia Fourmon, con 21 ettari di vigneto, 800.000 bottiglie prodotte, di cui il 70% all’export (con la distribuzione in Italia, tra i mercati più importanti della Maison, seguita dalla Castello Banfi, ndr). “La concorrenza del Prosecco si sente - spiega Jean-Claude Fourmon - è un competitor da non sottovalutare. Ma c’è un altra questione importante: molte grandi aziende stanno facendo alzare di molto i prezzi delle uve da Champagne, soprattutto di quelle migliori, perché hanno bisogno di comprare di più, per avere più prodotto e aumentare le loro vendite. E quando smetteranno di farlo, il rischio è che i prezzi cadano”. Un aspetto chiave in una filiera complessa, che, secondo i dati del Comitè Champagne, vede il 73% della produzione di bottiglie (sui 300 milioni l’anno) in mano alle maison, ed il restante in capo ai “recoltant”, che producono bottiglie con uve di proprietà, ed alle cooperative. “Sono tensioni sui prezzi che non mi piacciono, anche perché le vendite complessive di Champagne non stanno crescendo”. D’altronde, i dati parlano chiaro: secondo il Comitè Champagne, nel 2019, le spedizioni di Champagne si sono fermate a 301,9 milioni di bottiglie, in calo dell’1,8% sul 2017, con valori stabili, sui 4,9 miliardi di euro. Ma nei pensieri c’è anche il cambiamento climatico, come spiega Benjamin Fourmon: “forse dovremmo cambiare le varietà delle uve (7 quelle ammesse dal disciplinare oggi, 3, di fatto, quelle utilizzate, Chardonnay, Pinot Noir e Pinot Meunier) o piantare le vigne più in alto, o aumentare la distanza tra filari. In Champagne molte aziende stanno già lavorano su questi temi, che saranno fondamentali per il futuro”.
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Un invito ai leader del settore alimentare a intraprendere azioni immediate e concrete per arrivare a una gestione sostenibile di cibo, terra, acqua e oceani, e raggiungere gli obiettivi fissati nell’Agenda 2030 dell’Onu. A lanciarlo, da New York, è Fondazione Barilla, nell’assemblea delle Nazioni Unite. Di passi avanti sono stati fatti, ma il traguardo è lontano. Un dato su tutti: l’indice che misura il rendimento dell’Obiettivo 2 (sconfiggere la fame) dice che, a livello mondiale, siamo solo al 53,6%. Per un vero progresso, però, secondo Barilla, si deve agire in contemporanea su più direttrici, come promuovere e sviluppare, attraverso strategie e prodotti aziendali, diete sane e sostenibili, utilizzare processi aziendali sostenibili per economia, ambientale e società e sviluppare filiere alimentari sostenibili. |
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È lo chef Björn Frantzén del ristorante Frantzén di Stoccolma ad aggiudicarsi il “The Best Chef Top100 Award”, seguito al secondo posto dallo chef Joan Roca de El Celler de Can Roca di Girona (vincitore nel 2017 e nel 2018) e al terzo posto dallo chef David Muñoz del Diverxo di Madrid, mentre il primo degli italiani, nella classifica svelata nei giorni scorsi all’Università di Barcellona, è Massimo Bottura, chef dell’Osteria Francescana di Modena, al vertice della britannica “50 Best Restaurants”, e qui alla posizione n. 13, alla guida comunque di una massiccia presenza tricolore. Scorrendo la chart, troviamo infatti ben dodici cuochi del Belpaese: Niko Romito (Reale di Castel di Sangro, al n. 20), Enrico Crippa (Piazza Duomo di Alba, n. 22), Norbert Niederkofler (St. Hubertus di San Cassiano, n. 28), Massimiliano Alajmo (Alajmo di Rubano,, n. 41), Davide Oldani (D’O di Cornaredo, n. 48), Christian Puglisi (Relae di Copenaghen, n. 68), Mauro Uliassi (Uliassi di Senigallia, n. 70), Antonio Guida (Seta di Milano, n. 79), Andrea Aprea (Vun di Milano, n. 82), Floriano Pellegrino (Bros’ di Lecce, n. 97) ed Enrico Bartolini (Enrico Bartolini di Milano, n. 100). |
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Cresce la qualità dell’offerta dei bar italiani e toccano quota 1.300 le migliori realtà della Penisola, con 150 novità selezionate e 38 templi dell’espresso (i locali con “Tre Tazzine e Tre Chicchi”): questa la fotografia scattata dalla guida “Bar d’Italia 2020”, la n. 20, a firma di Gambero Rosso, presentata nei giorni scorsi a Milano, che ha visto premiato come “Bar dell’Anno” lo Spazio Pane & Caffè dello chef Niko Romito a Roma. Tra le regioni d’eccellenza, spicca la Lombardia, con 9 premiati, seguita da Veneto (6) e da Piemonte ed Emilia-Romagna (5 a testa). |
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Sale ancora la tensione nella guerra dei dazi tra Usa e Ue, dopo che il Wto ha informalmente notificato a Unione Europea e Stati Uniti una bozza di decisione a favore del Paese guidato da Trump (su cui proprio oggi la speaker della Camera, Nancy Pelosi, ha annunciato l’avvio di un’indagine per impeachment, ndr), che darebbe il via libera agli Stati Uniti all’imposizione di dazi su prodotti europei. A sottolinearlo, dopo gli allarmi lanciati ieri dai Consorzi di Parmigiano Reggiano e Grana Padano, è la Coldiretti: “secondo le indiscrezioni, la sentenza del Wto potrebbe autorizzare dazi tra 5 e 10 miliardi di dollari nei confronti dei prodotti europei”. I Paesi più colpiti sarebbero Francia, Italia e Germania e a pagare il conto più salato per il Belpaese sarebbe il made in Italy agroalimentare, formaggio e vino in testa.
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A WineNews l’ad Maura Latini: “informazione al centro, fondamentale per scelte consapevoli. Proponiamo un modo concreto di cambiare il mondo, facendo delle scelte giuste su dei prodotti che siano corretti, onesti e si facciano carico dell’attenzione all’ambiente e alla sostenibilità. Solo così si può indirizzare l’economia, ne siamo convinti. Ma serve anche innovazione di processo per continuare a dare prodotti pieni di valori a prezzi accessibili per e famiglie italiane, che sono ancora in difficoltà sul potere di acquisto”. |
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