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N. 2.549 - ore 17:00 - Lunedì 10 Dicembre 2018 - Tiratura: 31.087 enonauti, opinion leader e professionisti del vino |
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L’Italia come la Borgogna, il Sassicaia 2015 meglio del Romanée-Conti 2010: il quadro offerto dall’ultima settimana di contrattazioni sul mercato dei fine wine non è mai stato così positivo per il Belpaese che, come raccontano i dati del Liv-ex, nel periodo ha mosso con i propri vini il 14,7% del mercato, stessa quota della Borgogna. E se il Sassicaia, complice il vertice della Top 100 di Wine Spectator, si conferma come il vino più acquistato sul mercato secondario, sia per volumi che per valori, arrivando a toccare le 1.740 sterline a cassa, ossia il 54% in più del prezzo a cui è stato rilasciato, alla posizione n. 4 c’è il Solaia 2015, portato alla ribalta da James Suckling. |
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Vista da qui, l’Italia del vino sembra sempre avere qualche limite e qualche problema in più di quanto non racconti la realtà. Non si tratta di glissare su dati di crescita che segnano, effettivamente, un arretramento dei volumi (-9% a 16,26 milioni di ettolitri) ed una stagnazione dei valori (+3,8% a 6,18 miliardi di euro) per le esportazioni tricolore, quanto di rendere merito al comparto ed ai suoi punti di forza. Che, per una volta, sono addirittura i nostri cugini francesi a riconoscerci. Come emerge infatti dallo studio di Deloitte e FranceAgrimer, “Facteurs de compétitivité sur le marché mondial du vin”, analizzato da WineNews qualche giorno fa, il vino italiano, in base ai 6 fattori presi in esame, è il più competitivo al mondo, e nel confronto con la Francia è interessante notare come i nostri punti di forza siano i punti di debolezza della Francia e viceversa. Se l’Italia è il primo produttore al mondo, con rendimenti elevati, una vasta gamma di prodotti, vini per i gusti di ogni mercato, la triade vino, gastronomia e turismo alla base della comunicazione del Paese e consumi interni in ripresa, al contrario, il continuo calo della produzione e delle rese, la stagnazione delle vendite e quella dei consumi interni, unite alla dipendenza dalle importazioni dei vini entry level, sono i punti di debolezza della Francia. In questo gioco di specchi, tra i punti deboli dell’Italia c’è la dipendenza dell’export dall’andamento sui tre grandi mercati di Usa, Germania e Uk, ma anche margini commerciali insufficienti (l’altra faccia della competitività dei prezzi) ad imporre i nostri marchi, mentre l’ordine di grandezza delle nostre aziende non è sufficiente a presidiare certi mercati. La Francia, invece, ha nella notorietà e nella storia dei suoi marchi e delle sue denominazioni uno dei principali punti di forza, insieme alla grande capacità commerciale che le permette di essere il primo esportatore mondiale per valore. Differenze complementari, ben rappresentate dall’andamento della spumantistica: se è vero che la Francia, trainata dallo Champagne, è lontanissima per prezzi medi (27,6 euro al litro contro 4 euro al litro), l’Italia, con il Prosecco, cresce molto di più (+16,4% a valore nel 2018 contro il 4% dei francesi). |
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Il pericolo per il made in Italy agroalimentare viene dall’Onu, dove la minaccia dell’introduzione delle etichette a semaforo e di nuove tasse sui prodotti agroalimentari ad alto contenuto di grassi, zuccheri e sale, che pareva sventata solo un paio di mesi fa, torna ad incombere sul settore, attraverso una risoluzione alla seconda commissione dell’Assemblea generale Onu, nell’iniziativa Global Health & Foreign Policy, firmata da Francia, Brasile, Norvegia, Indonesia, Sudafrica, Thailandia e Senegal. Il voto finale il 13 dicembre, il Senato italiano si è espresso sottolineando la necessità di una forte azione diplomatica per “difendere il settore agroalimentare”, che ha chiuso il 2017 a quota 41 miliardi di euro di export, e adesso ha di nuovo paura, oltre che profonda irritazione nei confronti della Francia, unico Paese Ue a muoversi in questo senso. |
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Gli Usa non crescono più: come rivelano i dati dell’Italian Wine & Food Institute, basati sui dati dell’US Department of Commerce, sui primi dieci mesi del 2018, continua la contrazione delle importazioni enoiche, che hanno fatto registrare un calo dei volumi del -8,1%, mentre continuano a crescere i valori, del +4,8%. Ad eccezione della Francia, che continua nella sua fase di espansione (+8%) e della Nuova Zelanda (+3,1%), tutti i principali esportatori hanno fatto registrare un calo, compresa l’Italia, che limita i danni (-1,8 %), ma non riesce ad invertire la rotta nel suo approdo principale. Le importazioni statunitensi, secondo la nota Iwfi, sono ammontate a 7,22 milioni di ettolitri, per un valore di 3,68 miliardi di dollari, contro i 7,85 milioni di ettolitri, per un valore di 3,51 miliardi di dollari dei primi dieci mesi del 2017. Sempre nei primi dieci mesi 2018, le esportazioni italiane sono ammontate a 2,07 milioni di ettolitri, per un valore di 1,16 miliardi di dollari (+5,5%). Le importazioni dalla Francia, nello stesso periodo, sono ammontate a 1,12 milioni di ettolitri, per un valore di 1,07 miliardi di dollari, contro gli 1,04 milioni di ettolitri, per un valore di 912 milioni di dollari dell’anno precedente (+14%). |
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A 95 anni se ne va Angelo Jermann, a capo dell’omonima griffe enoica per tantissimi anni, che insieme a Livio Felluga, scomparso quasi due anni fa, ha contribuito alla nascita del vino friulano di qualità, e alla diffusione delle produzioni regionali. Si è spento ieri nella sua casa di Farra d’Isonzo, in provincia della sua Gorizia: Angelo Jermann, classe 1923, era uno spirito innovativo, senza paura del nuovo e del rischio, ma con un forte legame con la terra e con la tradizione contadina, quella autentica. |
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Le più grandi saline marine d’Europa, quelle di Margherita di Savoia, in Puglia, 500 ettari di vasche all’interno di 4.000 ettari di riserva naturale, sono passate in mano alla multinazionale francese Salins spa, leader europea e co-leader mondiale nella commercializzazione di sale industriale, sale stradale e sale alimentare per 16,7 milioni di euro. Fa discutere il passaggio in mani straniere di un altro pezzo dell’agroalimentare italiano, con la filiera del sale che, ora, rischia di fare la fine di quella dello zucchero, come denuncia Ceves, il centro studi sul sale italiano. Del resto, che il sale italiano non goda di grosse tutele o considerazione è dimostrato anche dal fatto che il sale made in Italy ha un prezzo medio al consumo di 2-3 euro al chilo, mentre i sali di importazione partono da 5 euro e fino a 40 euro al chilo. |
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“Sip Trip è una gigantesca esplorazione dell’Italia, in pochi giorni abbiamo percorso 3.700 chilometri”, racconta a WineNews Jeff Porter, incontrato nella tappa di Montalcino, uno dei territori più prestigiosi del vino italiano e meta del viaggio. Così come lo sono state le colline di Barolo, dell’Asti Docg e della Barbera, o ancora del Franciacorta, la Valpolicella, l’Umbria, il Lazio, Napoli e Pompei, e ancora le Marche, la Basilicata e la Campania, nelle terre del Taurasi, fino al Chianti Classico. |
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